martedì 10 settembre 2013

Il segreto delle bollicine

In tutto il mondo Champagne è sinonimo di party e festeggiamenti. Effervescenza e bollicine, tipiche di questa bevanda, sono infatti il segno caratteristico di molte occasioni festose.

Molti ascrivono a Dom Pérignon il merito di aver inventato lo champagne. Comunque stiano le cose, è certo che lui contribuì notevolmente a migliorarne la qualità. Questo monaco benedettino fu cellerario dell’abbazia di Hautvillers, nel cuore della regione francese della Champagne, dal 1668 fino alla sua morte, avvenuta nel 1715. Alcuni attribuiscono a lui il merito di aver messo a punto numerose tecniche tuttora usate nella produzione dello champagne.
I primi a entusiasmarsi per il vino spumante furono gli inglesi, ma fu la corte francese a scoprire questa bevanda di lusso nel XVIII secolo. Va detto, però, che per poter essere chiamati champagne i vini devono essere prodotti nell’omonima regione della Francia. Anche l’uva deve provenire da lì!
Uno scorcio della regione francese 'Champagne'
Fino a una profondità di circa 100 metri il sottosuolo della regione della Champagne è gessoso ed è coperto da un sottile strato di materiale alluvionale. Questa caratteristica garantisce un’umidità costante, e di notte il terreno restituisce il calore accumulato durante il giorno. Inoltre le radici delle viti penetrano nel terreno a oltre 10 metri di profondità, facilitando   l’assorbimento dei minerali essenziali alla finezza del vino.
Benché la regione che porta il nome dello champagne abbia un’estensione di circa 35.000 ettari, le vigne occupano approssimativamente 28.000 ettari. Le viti vengono piantate sulla parte superiore della collina per limitare gli effetti devastanti delle gelate, come quella del 1985 in cui la temperatura toccò i 30 gradi sotto lo zero. Si coltivano tre vitigni diversi: il Pinot Meunier, il Pinot Noir e lo Chardonnay. I primi due producono uve nere mentre il terzo uve bianche.
Il vino Chardonnay

I grappoli raccolti vengono messi immediatamente in grandi torchi poco profondi, per evitare che le bucce tingano il succo. Da una prima spremitura di quattro tonnellate d’uva si ottengono 2.050 litri di cuvée, usata solo per i vini migliori. Dalle due successive spremiture si ottengono rispettivamente 410 e 205 litri di succo di qualità inferiore. Dopo di che, tutto ciò che si ricava non è vero champagne.
Per alcune settimane i fermenti lavorano silenziosamente nei fusti di quercia o d’acciaio. Consumando gli zuccheri presenti nel succo d’uva, i microrganismi rilasciano alcool e anidride carbonica come prodotti di rifiuto. La prima fermentazione è simile a quella che avviene in qualsiasi vino. Il risultato di questo processo è un vino tranquillo, non spumante. È giunto il momento di trasformare quest’ottimo vino in un nettare effervescente.
Si misura il contenuto di zucchero del vino tranquillo e lo si regola approssimativamente a 25 grammi per litro aggiungendo un liquore composto da zucchero di canna dissolto in vino invecchiato. Il vino così ottenuto viene poi imbottigliato e sigillato con tappi provvisori. Per parecchi mesi le bottiglie vengono lasciate riposare in posizione orizzontale nelle cantine a una temperatura di 10 gradi. In questo periodo i lieviti si rimpinzano di zucchero e iniziano lentamente la seconda fermentazione. Consumando di nuovo zucchero, i microrganismi producono altra anidride carbonica. Ma questa volta, a differenza di quanto è avvenuto nei tini, l’anidride carbonica non può uscire. Rimane imprigionata nelle bottiglie, aumentando costantemente la pressione a circa sei atmosfere. Quando le bottiglie vengono stappate, si liberano cinque o sei litri di gas che determina la famosa effervescenza e i milioni di bollicine.
Per sostenere tale pressione, le bottiglie devono essere robuste e vanno tappate con forza. In passato ciò presentava notevoli difficoltà ai produttori. Per esempio, nel libro The Story of Wine Hugh Johnson riferisce che verso la fine del XIX secolo “era decisamente poco saggio avventurarsi in una cantina di champagne, soprattutto in primavera, senza una maschera di metallo per proteggere la faccia dai frammenti di vetro che volavano”.
Lo champagne, però, non è ancora pronto. Bisogna eliminare il deposito costituito dalle cellule dei lieviti morti e dai sali minerali per impedire che intorbidino il vino. Questo è il compito tradizionale dei remueurs, o scuotitori di bottiglia. Le bottiglie vengono inclinate progressivamente con il collo verso il basso e ogni giorno i remueurs le ruotano da un ottavo di giro fino a un quarto di giro. Alcuni remueurs riescono a ruotare fino a 10.000 bottiglie all’ora! Nel caso degli champagne comuni, però, questa fase si sta gradualmente automatizzando.
Alcuni remueurs all'opera

Infine il deposito si raccoglie nel collo della bottiglia. Viene eliminato mediante un processo detto dégorgement, sboccatura. Il collo delle bottiglie capovolte viene immerso in una soluzione salina a -27 gradi. Le bottiglie vengono quindi aperte rapidamente. La pressione interna fa uscire il deposito ghiacciato. Per compensare la perdita di volume viene aggiunto nuovo liquore. Il suo grado zuccherino determina se lo champagne sarà brut (secco), demi-sec (semisecco) o dolce, per soddisfare i gusti del consumatore. Ora le bottiglie possono finalmente essere sigillate con speciali tappi di sughero che gradualmente hanno assunto la tipica forma a fungo, una delle caratteristiche dello champagne.
Il tappo, però, dev’essere assicurato saldamente. I primi tentativi di fissarlo usando la canapa fallirono, perché quest’ultima marciva a causa dell’umidità delle cantine. Poi fu la volta del semplice filo metallico, ma si arrugginiva e tagliava il sughero. Infine, venne un’altra idea: mettere sul tappo di sughero un cappuccio di metallo e fissarlo con una gabbietta di filo metallico. Questo è il sistema con cui si sigillano le bottiglie da 150 anni a questa parte. Infine si applicano il collare e l’etichetta decorativa.
Si è cercato di produrre un vino simile in molte zone vinicole. Pur utilizzando gli stessi metodi, però, il prodotto finale può chiamarsi solo spumante, non champagne, dato che il nome è protetto. Recentemente uno stilista francese ha messo in circolazione un profumo col nome di Champagne, ed è finito in tribunale. È successa la stessa cosa a un inglese che ha immesso sul mercato una bevanda fatta con i fiori di sambuco chiamandola Elderflower Champagne e confezionandola in bottiglie simili a quelle dello champagne.
Come nel caso di molte industrie, anche quella dello champagne attraversò una crisi economica. Dopo i record di produzione del 1989, con 249 milioni di bottiglie, le vendite diminuirono lasciando molta eccedenza. Oggi i viticoltori limitano la produzione favorendo la qualità.
Lontano dalla luce e a una temperatura costante lo champagne può essere conservato per alcuni anni, ma è già stato invecchiato dal produttore. Pertanto lo si può consumare appena acquistato. Come va servito? Dovrebbe essere messo in fresco a una temperatura fra i sei e i nove gradi. A tal fine, un buon metodo può essere quello di mettere la bottiglia in un secchiello con acqua e cubetti di ghiaccio. Poi si dovrebbe versare lo champagne in bicchieri a calice alto e stretto per mettere in evidenza le bollicine che salgono.
Perciò se vi capita di assaggiare questa bevanda deliziosa pensate alle cure costanti che ci sono volute per realizzarla e godetevi i milioni di bollicine di cui ora conoscete il segreto.


sabato 7 settembre 2013

Gestire bene gli starnuti

Capita a tutti di voler disperatamente soffocare uno starnuto. Magari accade durante la nostra cerimonia di nozze, proprio mentre stiamo per pronunciare il sì. O forse durante una riunione o un’altra occasione seria, anche durante un funerale.

Naturalmente ci sono molte circostanze in cui un forte starnuto sembra piuttosto piacevole, facendo provare una sensazione di autentico benessere. Ma spesso il problema è come fare quando non si vuole starnutire.
Gli starnuti non sono tutti uguali. Alcuni hanno uno starnuto dalla nota allegra e molto forte che può essere sentito a notevole distanza. Altri starnutiscono in modo più delicato. C’è poi chi fa una sfilza di starnuti: tre, quattro, cinque o anche più di seguito. In casi rarissimi, persone hanno starnutito ininterrottamente a intervalli di pochi secondi o minuti per ore, giorni, settimane o anche mesi, rimanendo sveglie.
Cosa ci fa starnutire? Esiste un metodo sicuro per soffocare uno starnuto? È pericoloso interrompere volutamente uno starnuto una volta che il meccanismo si è messo in moto? E si può fare qualcosa per evitare di starnutire?
Pare che tutti starnutiscano a volte: vecchi e giovani, grandi e piccoli. È noto che perfino gli animali starnutiscono. Il più delle volte, la causa è una sostanza estranea (come polvere o polline) che irrita le vie aeree nasali. Ma il fattore scatenante di una crisi di starnuti può anche essere di natura emotiva. Per alcuni di noi, anche la forte luce solare è sufficiente a farci starnutire. Questo perché i nervi degli occhi sono strettamente collegati alle terminazioni nervose presenti nel naso.
Le sensibili terminazioni nervose reagiscono alla presenza di una sostanza irritante inviando un messaggio al cervello. Quest’ultimo ingiunge quindi al naso di produrre un liquido acquoso per favorire l’eliminazione della sostanza indesiderata. Il cervello trasmette anche messaggi ai polmoni così che inspirino una notevole quantità d’aria, poi alle corde vocali perché chiudano il passaggio aereo e impediscano all’aria di uscire. I muscoli della parete toracica e dell’addome ricevono quindi il segnale di tendersi, comprimendo così l’aria nei polmoni. Infine viene ordinato alle corde vocali di rilassarsi, e l’aria compressa è rapidamente espulsa, facendo di solito uscire la sostanza irritante insieme al liquido acquoso. Tutto questo avviene senza sforzo cosciente da parte nostra e in un tempo assai più breve di quello impiegato per leggere queste righe.
Nella maggioranza dei casi gli starnuti ininterrotti sono sintomo di una comune allergia detta raffreddore da fieno. L’irritazione è provocata dal polline delle piante, e sebbene il nome raffreddore da fieno possa far pensare che la colpa sia del fieno o dell’erba falciata di fresco, non è detto sia sempre così. I soggetti possono essere allergici a vari pollini o a uno soltanto. Quindi è facile capire perché chi soffre di raffreddore da fieno teme le stagioni in cui venti forti e secchi soffiano per giorni. Una volta che le vie aeree nasali sono irritate e si comincia a starnutire ininterrottamente, la più piccola particella di polvere che normalmente non causerebbe irritazione pare scatenare nella vittima un’altra crisi di starnuti.
Quando le vie aeree nasali sono congestionate a causa di un forte raffreddore di testa, gli starnuti possono recare un certo sollievo. È più facile respirare quando il muco viene eliminato dal naso in questo modo. Ma se quando si starnutisce non ci si copre il naso, quali sono le conseguenze per chi sta vicino?
I medici non pretendono ancora di capire alla perfezione tutti i modi in cui si può trasmettere il raffreddore. Tuttavia un’idea abbastanza valida è che si possa prendere il raffreddore respirando i germi che sono stati diffusi nell’aria con uno starnuto. Questo è possibile specie se si è entro i ristretti confini di una stanza riscaldata, o di un treno o autobus affollato dove c’è una quantità minima di aria fresca. Si crede che altre malattie, tra cui influenza, morbillo, orecchioni, polmonite, tubercolosi e pertosse, siano trasmesse con gli starnuti.
Alcune ricerche effettuate sulla potenza degli starnuti rivelano che la velocità con cui le goccioline di liquido contenenti germi vengono espulse dal naso e dalla bocca è di oltre 160 chilometri orari ed esse possono rimanere attaccate a superfici distanti quasi 4 metri. Altre goccioline restano sospese per un po’ nell’aria e verranno inspirate da ignari passanti.

Sono stati sperimentati molti metodi con vari gradi di successo. Alcuni affermano di avere interrotto o abbreviato l’“esplosione” di uno starnuto premendo fermamente un dito tra il labbro superiore e il naso. A quanto si dice, premendo forte in quel punto si bloccano alcuni dei nervi che intervengono nel meccanismo dello starnuto. Un altro modo può essere quello di soffiarsi il naso nel fazzoletto non appena si sente arrivare uno starnuto.
Nel caso di starnuti prolungati o di un attacco cronico, si può trarre sollievo facendo delle inalazioni, anche se la sostanza inalata è solo il vapore di acqua calda. Così si potrebbe spiegare perché molti che soffrono di raffreddore da fieno ricevono un temporaneo sollievo mentre fanno una doccia o un bagno caldo in una stanza piena di vapore.
Nel corso degli anni sono stati suggeriti vari metodi e tecniche, alcuni ragionevoli, altri assurdi. Sono state sperimentate con un certo successo creme anestetizzanti da applicare all’interno del naso. Ci sono poi sedativi, iniezioni, gocce, pillole, pozioni, psicoterapia, cauterizzazione della mucosa nasale oltre a odorare aglio o barbaforte. I suggerimenti più assurdi vanno dal mettersi sul naso una molletta per il bucato allo stare a testa in giù, dal ripetere l’alfabeto a rovescio allo strofinarsi lardo sulla faccia.
Un avvertimento: Non è sempre una buona idea soffocare o trattenere uno starnuto. È noto che la volontaria interruzione di un forte starnuto causa emorragie nasali e può far salire i batteri colpevoli nei seni paranasali, il che potrebbe estendere l’infezione. In rare occasioni, sono state provocate fratture ossee nel naso o attorno ad esso, e si è slogato un osso nell’orecchio medio.
In molti paesi c’è l’usanza di dire “salute” a chi starnutisce. Dove ha avuto origine questa usanza?
Secondo il libro How Did It Begin?, di R. Brasch, nell’antichità alcuni credevano che quando un uomo starnutiva era in pericolo di morte. Brasch aggiunge: “La paura nasceva da un’idea errata ma molto diffusa. L’anima umana era considerata l’essenza della vita. Il fatto che i morti non respiravano portò all’errata conclusione che l’anima dovesse essere il respiro. . . . Pertanto non sorprende che sin da tempi antichissimi la gente abbia imparato a rispondere a uno starnuto con apprensione e con il fervido augurio che Dio aiuti e benedica e conservi in vita chi starnutisce. Nel Medioevo questa antica origine dell’usanza doveva essere stata in qualche modo dimenticata, poiché il merito di avere introdotto l’espressione ‘Dio ti conservi la salute’, rivolta a chi starnutiva, fu attribuito a papa Gregorio Magno”.
La cosa vi meraviglierà, ma dello starnuto si sono serviti anche delinquenti. Sì, trasgressori della legge hanno trovato il modo di servirsi dello starnuto per fini cattivi. Un centinaio d’anni fa, in Inghilterra, certi ladri gettavano tabacco da fiuto in faccia a una persona. Poi, mentre questa era in preda a una violenta crisi di starnuti, i ladri la derubavano dei suoi oggetti di valore.
La maggioranza di noi non starnutirà mai perché qualcuno gli ha buttato in faccia del tabacco da fiuto. Ma che ci venga da starnutire all’improvviso o che siamo in preda a una crisi prolungata di starnuti, se abbiamo considerazione per il prossimo ci copriremo sempre il naso e la bocca con un fazzoletto di stoffa o di carta. Non solo questo è segno di buona educazione, ma è anche una precauzione ragionevole. Aiuta a non diffondere nell’aria goccioline cariche di germi che saranno inspirati dalla prima persona ignara che passerà. L’amore del prossimo suggerirebbe inoltre di cercare di proteggere gli altri facendo tutto il possibile per limitare la diffusione di germi.
Forse non è né saggio né possibile soffocare uno starnuto. Gli altri, però, apprezzeranno molto la vostra considerazione, e l’uso del fazzoletto, per trattenere uno starnuto!
Il modo corretto di starnutire in pubblico

Una meraviglia tinta di rosa

Uccello di fuoco! Così gli antichi greci definivano la fenice, un uccello mitologico che terminava la sua vita tra le fiamme e poi risorgeva dalle ceneri. Secoli fa il nome della fenice fu dato a un uccello vero, il fenicottero. Esso tiene fede a questo nome meglio di qualsiasi leggenda. Uno stormo di fenicotteri in volo è uno spettacolo eccezionale: una “fiammata” di rosa misto a nero e vermiglio che si leva verso il cielo gridando e oscurandolo.

E il fenicottero stesso è una meraviglia di progettazione, dalla testa ai piedi. Considerate il becco “a tabacchiera”, una cassa oblunga e con coperchio, ripiegato in basso all’estremità così da essere parallelo al fondo dello specchio d’acqua mentre l’uccello muove la testa avanti e indietro nell’acqua bassa in cerca di cibo. Il becco è rivestito internamente di setole che non lasciano passare gli oggetti più grossi, imprigionando invece pezzetti commestibili di alghe, ecc., mentre la lingua pompa l’acqua dentro e fuori. Solo le balene mangiano allo stesso modo, impiegando i fanoni come filtro per trattenere piccoli gamberetti.

Fra tutti gli uccelli, il fenicottero è quello che, in proporzione, ha le gambe e il collo più lunghi. Può superare il metro e ottanta di altezza. Le gambe lunghe e sottili sono adatte alla vita nelle acque basse dei laghi salati dove perfino si riposa, al sicuro dai predatori e nella posizione più inverosimile: su una sola gamba! Gli esperti dicono che il fenicottero sta su una gamba per far riposare l’altra. Uno speciale tendine permette all’uccello di bloccare fermamente sul posto la gamba a mo’ di palo. È pure dotato di un eccezionale senso dell’equilibrio. Davvero un animale meraviglioso!

Un bicchiere d'acqua vi farà star meglio!

Eccola che scorre dal rubinetto in cucina. Di solito è alla portata di tutti. Costa poco, eppure può farvi stare meglio. È uno degli alimenti più importanti per il nostro corpo. È acqua pura, fresca. Ma il semplice consiglio di bere più acqua fresca è spesso trascurato anche da chi ha cura della propria salute.

Sapevate che circa il 70 per cento del peso complessivo del nostro corpo è costituito da acqua? Quindi non è difficile capire perché abbiamo bisogno di molta acqua affinché il nostro corpo sia sano.
Naturalmente i reni fanno uno splendido lavoro. Forniti di milioni di unità filtranti, i reni eliminano le impurità del sangue e restituiscono il fluido purificato al torrente sanguigno. Si calcola che dovremmo bere migliaia di bicchieri d’acqua al giorno se non fosse per l’acqua riciclata dai reni.
Ma anche con reni sani che funzionano bene, la riserva di acqua pura del nostro corpo diminuisce costantemente e deve essere rifornita. Senza fluido sufficiente per eliminare i residui del metabolismo, le cellule del corpo possono lentamente essere avvelenate dai loro stessi rifiuti.
Fortunatamente molto del cibo che mangiamo ci fornisce gran parte dell’acqua necessaria perché parecchi alimenti sono costituiti in prevalenza d’acqua. Prendete l’uovo per esempio. Forse non vi rendete conto che un uovo è per il 74 per cento circa acqua. Una bistecca ha un contenuto d’acqua del 73 per cento circa, e un’anguria niente meno che del 92 per cento. Ma anche così, per la maggior parte di noi sarebbe utile bere più acqua.
Scrivendo sul Weekend Australian, Michael Boddy cita l’esperienza di alcuni scalatori a sostegno dell’affermazione che l’eccessiva stanchezza può essere provocata da un accumulo di rifiuti velenosi nelle cellule del corpo, e dice: “Gli alpinisti svizzeri non riuscirono a conquistare l’Everest per mancanza d’acqua, e l’acqua è la ragione per cui la spedizione inglese diretta da sir Edmund Hillary ebbe successo: durante la scalata furono costretti a berne dodici bicchieri al giorno”.
Lo stesso scrittore parla di un esperimento compiuto presso l’Università di Harvard che pure sottolinea l’importanza di bere acqua. Alcuni atleti dovevano camminare di buon passo alla velocità di cinque chilometri all’ora senza bere affatto acqua. Essi continuarono per circa tre ore e mezzo. Poi d’un tratto la loro temperatura salì a circa 39°C. Poco dopo crollarono esausti.
Un secondo gruppo fece la stessa cosa, ma a questi fu consentito di bere acqua ogni volta che avevano sete e quanta ne volevano. Questo gruppo resistette per circa sei ore e poi ebbe esattamente la stessa reazione del gruppo precedente.
Infine si mise alla prova un terzo gruppo. Questi però furono tenuti costantemente sotto osservazione, e si scoprì che perdevano circa un bicchiere d’acqua ogni 15 minuti. Sostituendo questa quantità d’acqua man mano che veniva eliminata, nessuno del gruppo ebbe un improvviso rialzo di temperatura, né crollò per la stanchezza. Anzi sostennero tutti che avrebbero potuto camminare all’infinito. Sembra dunque che la sete naturale non sia un accurato barometro della necessità d’acqua del nostro corpo. Potremmo doverne bere più di quanto suggerisca la sete.
Forse tutti potremmo star meglio bevendo più acqua fresca e ristoratrice.


Perchè è difficile vedere le stelle?

Chi non ha ammirato il cielo notturno e non si è meravigliato davanti alla scintillante bellezza delle innumerevoli stelle che si perdono nello spazio sconfinato? Questo eccezionale spettacolo, però, si va lentamente sottraendo alla nostra vista. La causa? L’inquinamento luminoso.

L’inquinamento luminoso è l’intenso, accecante bagliore prodotto dall’illuminazione artificiale di strade, case, edifici commerciali, edifici pubblici e impianti sportivi. Ben metà di questa luce si diffonde nel cielo, impedendoci di vedere la maggior parte delle stelle. Quanto è grave il problema? Nell’Europa settentrionale, ad esempio, in una notte buia e limpida si possono vedere a occhio nudo circa 2.000 stelle. Ma la cifra scende a 200 per chi vive nella periferia di un piccolo paese, e nel centro di una città ben illuminata si riescono a vedere appena 20 stelle. Alcuni astronomi temono che, se non si prendono precauzioni, tra 25 anni nell’Europa settentrionale non si riuscirà a vedere neppure una stella.
Naturalmente una certa illuminazione è indispensabile. Scoraggia la criminalità e accresce il senso di sicurezza delle persone nelle loro case. Un’illuminazione troppo forte, però, causa stress e disturba l’andamento del sonno. A risentirne non sono soltanto le persone. Uccelli migratori e insetti possono essere disorientati dalla luce, e il ritmo circadiano delle piante può essere sconvolto.

Ma cosa si può fare per ridurre il problema? È utile assicurarsi che l’illuminazione esterna sia ben schermata e che il fascio luminoso sia orientato verso il basso. Le luci di emergenza possono essere attivate da un sensore anziché rimanere sempre accese. In un sobborgo francese il problema è stato affrontato adottando lampade a vapori di sodio ad alta pressione che forniscono un’illuminazione diretta più precisa, e schermando le lampade a bassa pressione già esistenti, dirigendone il fascio luminoso verso il basso. Le strade sono state ricoperte di catrame nero che assorbe la luce e dopo le 23 le luci degli edifici pubblici vengono spente. Non solo questo ha praticamente eliminato l’inquinamento luminoso verticale e ridotto la luce riflessa di due terzi ma ha fatto aumentare il rendimento energetico del 30 per cento.

Saper scegliere delle scarpe comode

Quando è stata l’ultima volta che avete acquistato un paio di scarpe? Vi andavano bene? Erano comode? Quanto ci avete messo a sceglierle? Il negoziante o il commesso era servizievole? Le avete comprate non perché erano comode ma perché vi piacevano? Come ve le sentite ora che le portate da un po’ di tempo? Vi fanno male in qualche punto?
Acquistare le scarpe non è così semplice come sembra. E trovare la misura esatta è quasi come avventurarsi in un labirinto. Perché?


Innanzi tutto, quale piede è più grande? Il destro o il sinistro? Pensate che siano uguali? Ne siete proprio sicuri? Un altro fattore di cui tener conto è che per ciascun piede ci sono in realtà quattro tipi di misura: statica, sotto carico, funzionale e termica. Quali sono le differenze?
Riguardo alla misura in condizione statica, un libro sull’argomento dice: “È la misura della scarpa col piede a riposo (il cliente è seduto)”. (Professional Shoe Fitting) Come indica l’espressione, la misura “sotto carico” si riferisce a quando la persona è in piedi. In questa posizione le dimensioni e la forma del piede si modificano. Il libro in questione dice: “Il piede a riposo è essenzialmente una massa molle di ossa e cartilagine che improvvisamente assume consistenza ‘solida’ allorché ci si alza, diventando così di misura diversa”. Ma ci sono altre due misure.
La misura funzionale è quella in condizioni dinamiche: mentre la persona cammina, corre, salta o compie altri movimenti. Questo “crea un piede le cui dimensioni, forma e proporzioni cambiano di continuo”. Il quarto tipo di misura è quella termica, che tiene conto delle modificazioni prodotte dal calore e dall’umidità, che possono far ingrossare il piede anche del 5 per cento. Non sorprende che si provi sollievo a levarsi le scarpe alla fine della giornata, specialmente se non sono della misura giusta! E spesso è proprio così.

Come si dovrebbe misurare il piede?
In alcuni paesi si usa comunemente un apparecchio detto Brannock (vedi foto), col quale si possono ottenere tre misure basilari: la lunghezza del piede, la distanza fra il tallone e l’articolazione metatarso-falangea, e la larghezza in corrispondenza di tale articolazione.
L'apparecchio Brannock

 Naturalmente ogni piede ha la propria forma e il proprio volume. Per questa ovvia ragione le scarpe si provano prima di comprarle. Ma c’è un pericolo. Vi è mai capitato di provare delle scarpe che vi piacevano molto, per poi scoprire che vi facevano un po’ male? “Le scarpe cedono”, dice il venditore. Voi comprate le scarpe e dopo qualche giorno o settimana che le portate cominciate a pentirvi. È la genesi del prossimo callo, di un’unghia incarnita o di un’infiammazione all’alluce!
È possibile trovare una misura perfetta? Il libro citato sopra risponde senza mezzi termini: No. Perché? “Ci sono vari ostacoli insormontabili. . . . Nessuno ha entrambi i piedi esattamente delle stesse dimensioni, forma, proporzioni o funzionalità”. Perciò se una scarpa è perfetta per il piede più grande, non lo sarà per l’altro. “Questo non significa che non si possa trovare una calzatura adatta, ma solo che bisogna usare con cautela la parola o l’idea di ‘perfezione’”.
Se volete controllare in quale punto il vostro piede esercita pressione all’interno della scarpa, esaminate alcune delle vostre vecchie scarpe. Osservate la fodera all’interno. Dov’è più consumata? Spesso l’usura sarà più evidente dove poggia il tallone, dietro il calcagno e in corrispondenza dell’articolazione metatarso-falangea. Cosa significa questo? Significa che “certe parti della scarpa non combaciano con le corrispondenti zone del piede. Certe parti si consumano eccessivamente, mentre altre sono praticamente intatte”.
La comodità dipende molto anche dalla gola della scarpa. Avete notato che ce ne sono di vari tipi? Nel modello di scarpa detto “francesina” i due lembi sono cuciti insieme nel punto più basso dell’allacciatura. Se però avete un piede pienotto, è più comodo il modello “Derby”, in cui i due lembi restano distanziati. (Vedi la figura).

Perché questo dettaglio è importante? La stessa fonte dice: “Molte o quasi tutte le irritazioni del calcagno dovute alle scarpe sono spesso la diretta conseguenza del fatto che la scarpa è troppo stretta alla gola, cosa che spinge il tallone contro il rinforzo del calcagno”, o toppone.
La preferenza delle donne per i tacchi alti sottopone il corpo a varie sollecitazioni. I tacchi alti tendono ad alterare la postura del corpo, determinando spesso un’inclinazione in avanti, la quale a sua volta costringe a curvare maggiormente il ginocchio per tenere dritto il corpo. I tacchi alti fanno anche contrarre i muscoli del polpaccio, che quindi si irrobustiscono.
Perciò il tacco è spesso la parte più critica della scarpa da donna e determina se la scarpa è comoda o scomoda. Il libro già citato dice che ci sono tre ragioni principali per cui le scarpe hanno i tacchi: ‘(1) eleganza del portamento, in quanto ad esempio rendono la persona più alta, (2) bellezza del modello o dello stile della scarpa, (3) aspetto migliore, perché i tacchi alti danno più risalto alle gambe’.
Le donne dovrebbero prestare particolare attenzione all’inclinazione del tacco, da cui dipende il punto in cui la linea del peso del corpo interseca il tacco. Se questa linea cade davanti o dietro il tacco, possono esserci problemi. Perché? Perché il tacco potrebbe cedere e la persona potrebbe fare una brutta caduta.
Da questa breve trattazione è evidente che per scegliere bene le scarpe ci vuole tempo e forse bisogna anche essere disposti a spendere qualcosa in più, perché una scarpa buona costa. Ma le scarpe possono contribuire in misura notevole al vostro benessere e anche alla vostra salute. Perciò non siate frettolosi. Trovate la misura giusta. Siate pazienti. Non fatevi ingannare dalla moda o dall’apparenza.

venerdì 6 settembre 2013

Il sarcasmo: utile o dannoso?

Le parole taglienti, a prescindere dallo scopo per cui vengono dette, possono ferire profondamente l’amor proprio di una persona. Anche quando sono pronunciate in tono scherzoso, le espressioni sarcastiche possono suscitare ostilità, ferire i sentimenti e infrangere amicizie.

Il sarcasmo non è sempre fuori luogo. Quando non è pesante, può essere divertente. E a volte il sarcasmo può esprimere profondi stati d’animo. Se però è animato da uno spirito malevolo, il dolore provocato dalle espressioni taglienti può durare a lungo dopo che la risata è finita.
Spesso una scherzosa schermaglia verbale si trasforma in un’accesa discussione.
In effetti la parola “sarcasmo” deriva da un verbo greco che significa “lacerare le carni”.
Come un cane usa i suoi incisivi aguzzi per staccare la carne dall’osso, chi si esprime con sarcasmo può strappare a un altro la sua dignità. Un periodico (Journal of Contemporary Ethnography) afferma: “Alla radice del sarcasmo . . . c’è un’aperta ostilità o il disprezzo”. Poco importa se si tratta di un attacco diretto, di un sottile commento denigratorio o di un lapsus linguae. Un’osservazione sarcastica e poco gentile fa di qualcuno una vittima della derisione.
Nel suo libro Toxic Parents, Susan Forward sottolinea cosa succede quando ad esempio i genitori usano parole che feriscono: “Ho visto migliaia di pazienti la cui stima di sé aveva subìto un duro colpo perché un genitore aveva . . . ‘scherzato’ su quanto erano stupidi o brutti o indesiderati”. Immaginate, quindi, cosa potrebbe succedere usando parole sarcastiche crudeli con un amico, un conoscente o un fratello. La dottoressa Forward conclude: “L’umorismo che mette gli altri in ridicolo può essere estremamente dannoso”.

Non sorprende quindi che un libro sullo sviluppo infantile dica: “Il sarcasmo . . . dovrebbe essere eliminato per sempre dal linguaggio umano. Di solito offende, spesso ferisce profondamente e non contribuisce quasi mai all’instaurarsi di un dialogo profittevole”.
Che fare però se parlare con sarcasmo è ormai un’abitudine radicata? Allora è tempo che impariate a pensare prima di parlare. Parlare in modo avventato può essere particolarmente dannoso tra familiari.
il libro Raising Good Children cita queste parole dell’educatore John Holt: “Troppo spesso i familiari sfogano l’uno sull’altro tutti i dispiaceri e le frustrazioni della loro vita, cosa che non oserebbero fare con nessun altro”. I familiari si conoscono così bene che tendono a essere intolleranti verso le reciproche mancanze; perdono facilmente le staffe e si scambiano osservazioni sarcastiche.
Soppesando attentamente le vostre parole, potete evitare di ferire i sentimenti altrui e potete risparmiarvi inutile vergogna e imbarazzo.

Ma che dire se l’oggetto del sarcasmo, forse degli amici o dei compagni di scuola, siete voi?
Un suggerimento è quello di evitare la tendenza a vendicarvi quando subite un torto.
Questo però non significa che non bisogna rispondere affatto quando il sarcasmo diventa un insulto o una minaccia. Irwin Kutash, in un libro (Violence) di cui è coautore, osserva: “Certi affronti, se non vengono opportunamente neutralizzati, possono avere conseguenze a lungo termine per le vittime . . . Queste vittime possono diventare facili bersagli di ulteriori abusi”.

A volte, quindi, potete essere giustificati dalle circostanze a rispondere a un attacco verbale, non travolgendo l’aggressore con un fiume di parole astiose, ma parlandogli pacificamente e serenamente in privato.

Infine, è anche utile non prendersi troppo sul serio. Donald W. Ball osserva: “L’efficacia del sarcasmo . . . sta nell’effetto che si propone di ottenere”. Sì, non fate di un piccolo incidente una tragedia pensando di aver subìto un danno irreparabile a causa di un’osservazione poco gentile. Non perdete il senso dell’umorismo!

Il modo migliore per non essere vittima del sarcasmo, comunque, è di non usarlo voi stessi.
Questo vi impedirà di parlare in maniera dannosa e sarcastica, e forse di esserne vittima.



Brunost, uno squisito formaggio norvegese

Il brunost, o formaggio scuro, si trova nella maggioranza delle case norvegesi e rappresenta quasi un quarto di tutto il formaggio consumato in questo paese. Ogni anno i norvegesi mangiano 12.000 tonnellate di brunost, cioè in media quasi 3 chili per persona. Nello stesso tempo circa 450 tonnellate di brunost vengono esportate in paesi come l’Australia, il Canada, la Danimarca, gli Stati Uniti e la Svezia.
Molti stranieri assaggiano per la prima volta il brunost in un albergo norvegese. Questo formaggio, rotondo o quadrangolare, si trova quasi sempre sulla tavola della prima colazione, invariabilmente insieme a un ostehøvel, il maneggevole piccolo arnese per tagliarlo a sottili fettine orizzontali.
Ma cos’è in realtà il brunost?

Il processo che porta alla lavorazione di questo appetitoso formaggio inizia con la mungitura delle capre.
Le capre vengono munte due volte al giorno, e il latte viene versato in un pentolone. Lì è riscaldato a circa 30°C e vi si aggiunge rennina, un enzima che lo fa cagliare. La cagliata bianca comincia a separarsi dal resto del latte, o siero. Gran parte del siero viene laboriosamente diviso dalla cagliata, che viene raccolta in forme di legno separate e diventerà formaggio caprino norvegese bianco. Dato che il formaggio bianco è “fresco”, deve stagionare per tre settimane circa prima di essere pronto.
Ma che dire del brunost, o formaggio scuro? Ebbene, adesso al siero puro si aggiungono latte e panna, e questo miscuglio viene portato a ebollizione. Si deve girarlo in continuazione. Via via che bolle, gran parte del liquido evapora e il siero cambia colore. Dopo tre ore circa diventa una pasta scura. La pasta viene quindi tolta dalla pentola, e bisogna continuare a mescolarla mentre si raffredda. Alla fine viene modellata e compressa nelle forme. A differenza del formaggio bianco, il brunost non ha bisogno di essere stagionato. L’indomani, appena viene tolto dalla forma, è pronto per deliziare ogni amatore del formaggio caprino norvegese scuro.
Anche se i princìpi del procedimento sono sempre gli stessi, questo antico metodo di fare il formaggio è stato da tempo sostituito dalla produzione meccanica su vasta scala. La malga ha ceduto il passo ai caseifici che usano attrezzature sotto vuoto e pentole a pressione al posto delle vecchie pentole di ferro senza coperchio.

Come ha avuto origine il brunost? Nell’estate del 1863 Anne Haav, una lattaia che viveva nella Valle di Gudbrandsdal, tentò un esperimento che ebbe grande successo. Fece il formaggio con solo latte di mucca e pensò di aggiungere della panna al siero prima di farlo condensare con la bollitura. Il risultato fu un gustoso formaggio scuro, molto grasso. In seguito si cominciò a produrlo usando anche latte di capra e un misto di latte di capra e latte di mucca. Nel 1933, quando aveva una bella età, Anne Haav ricevette dal re di Norvegia una speciale medaglia al merito per la sua invenzione.
L'ekte geitost, formaggio caprino

Oggi esistono quattro tipi principali di brunost: l’ekte geitost, vero formaggio caprino, fatto con solo latte di capra. Il gudbrandsdalsost, il più comune, che prende nome dalla valle e contiene dal 10 al 12 per cento di latte di capra e il resto latte di mucca. Il fløtemysost, un formaggio cremoso a base di siero, fatto con solo latte di mucca. Il prim, un formaggio scuro molle a base di siero, fatto con latte di mucca, ma con l’aggiunta di zucchero.

Il gudbrandsdalsost
Questo viene bollito meno degli altri tipi. Il contenuto di grasso, la consistenza e il colore — quanto chiaro o scuro deve essere il formaggio — dipendono dalla proporzione di siero, panna e latte e dal tempo di bollitura. Quello che rende il brunost così speciale è che in realtà è fatto con il siero del latte, non con la caseina. Quindi contiene molto zucchero di latte, che gli conferisce un sapore dolce, come di caramello.
Per migliaia di norvegesi il brunost non è solo una ghiottoneria, ma è parte integrante della dieta quotidiana.

Qualcosa da sapere sulle muffe

Alcune muffe salvano la vita, altre uccidono. Alcune conferiscono un sapore speciale a formaggi e vini, altre rendono il cibo velenoso. Alcune crescono sui tronchi, altre infestano bagni e libri. Le muffe sono davvero dappertutto: mentre state leggendo questa frase, delle spore potrebbero addirittura passare attraverso le vostre narici!
Le muffe appartengono al regno dei Funghi, che vanta oltre 100.000 specie fra cui ruggini, funghi superiori e lieviti. I funghi conosciuti che causano malattie a uomini e animali sono solo un centinaio. Molti altri hanno un ruolo fondamentale nella catena alimentare, decomponendo materiale organico e riciclando elementi essenziali in una forma utilizzabile dalle piante. Altri ancora operano in simbiosi con le piante, aiutandole ad assorbire sostanze nutritive dal terreno. Alcuni poi sono parassiti.
Muffa depositata su del pane

Le muffe iniziano la loro vita come spore microscopiche trasportate dall’aria. Se le spore si depositano su un ‘cibo’ adatto che abbia fra le altre cose la giusta temperatura e il giusto grado di umidità, germineranno dando origine a cellule filamentose dette ife. Quando queste formano una colonia, la massa aggrovigliata e lanuginosa di filamenti prende il nome di micelio, la muffa che vediamo. La muffa inoltre a volte assomiglia a della sporcizia o a delle macchie, come quelle che si formano fra le mattonelle del bagno.
Le muffe sono molto prolifiche. Nella muffa del pane, Rhizopus stolonifer, i puntolini neri sono gli sporangi, ovvero gli organi che contengono spore. Un solo puntolino contiene più di 50.000 spore, ciascuna delle quali è in grado di produrre centinaia di milioni di nuove spore nel giro di qualche giorno. E, nelle giuste condizioni, le muffe si sviluppano bene su un libro, su uno stivale, sulla carta da parati o su un tronco nel bosco.
Come fanno a nutrirsi? A differenza degli animali e degli esseri umani, che prima mangiano e poi assorbono gli alimenti grazie alla digestione, le muffe spesso invertono questo processo. Quando le molecole organiche sono troppo grandi o complesse perché le muffe se ne cibino, queste ultime liberano enzimi digestivi che scompongono le molecole in unità più semplici. A questo punto le muffe possono assorbirle. Inoltre dal momento che non possono muoversi per cercare il cibo, devono viverci dentro.
Le muffe possono produrre sostanze tossiche dette micotossine, che sono in grado di produrre effetti tossici negli uomini e negli animali. Si può venire a contatto con queste sostanze per inalazione, ingestione o attraverso la pelle. Ma la storia delle muffe non è solo negativa, poiché hanno alcune proprietà molto vantaggiose.
Nel 1928 Alexander Fleming osservò per caso il potere germicida di una muffa verde.
Alexander Fleming
 In seguito identificata come Penicillium notatum, questa muffa si rivelò letale per i batteri ma innocua per uomini e animali. La scoperta portò alla produzione della penicillina, definita “il ritrovato della medicina moderna che ha salvato il maggior numero di vite”. Per il loro lavoro di ricerca, nel 1945 Fleming e i suoi collaboratori, Howard Florey ed Ernst Chain, vennero insigniti del premio Nobel per la medicina. Da allora le muffe hanno fornito diverse sostanze medicinali, fra cui alcune efficaci contro i trombi, l’emicrania o il morbo di Parkinson.
Le muffe sono anche una delizia per il palato. Prendete per esempio il formaggio. Sapevate che il brie, il camembert, il danish blue, il gorgonzola, il roquefort e lo stilton devono il loro sapore caratteristico a certe specie di muffe del genere Penicillium? Anche il salame, la salsa di soia e la birra devono molto alle muffe.
La muffa Penicillium Notatum

Lo stesso vale per il vino. Quando certe varietà d’uva vengono raccolte al tempo giusto e con la giusta crescita fungina, si possono produrre squisiti vini da dessert. La Botrytis cinerea, o “marciume nobile”, favorisce la concentrazione degli zuccheri nei grappoli e conferisce al vino un sapore particolare. Nelle cantine il Cladosporium cellare dà il tocco finale durante il processo di invecchiamento. Per citare un proverbio ungherese: ‘Dove c’è buona muffa c’è buon vino’.
Anche le caratteristiche dannose di certe muffe hanno una lunga storia. Nel VI secolo a.E.V. gli assiri usavano la muffa Claviceps purpurea, o segale cornuta, per avvelenare i pozzi nemici: potremmo definirla in pratica un’antica forma di guerra batteriologica. Nel Medioevo questa stessa muffa, che a volte si forma sulla segale, provocò in molte persone crisi epilettiche, bruciori dolorosi, cancrena e allucinazioni. Questa intossicazione, ora chiamata ergotismo, fu a quel tempo soprannominata “fuoco di Sant’Antonio” perché molte vittime, sperando di essere guarite miracolosamente, fecero un pellegrinaggio al santuario di Sant’Antonio in Francia.
Una sostanza altamente cancerogena, l’aflatossina, è prodotta da muffe. Si calcola che in un paese asiatico a causa di questa tossina muoiano 20.000 persone all’anno. È stata anche usata in moderne armi biologiche.
Nella vita di ogni giorno, comunque, i sintomi provocati dal contatto con le muffe sono più un fastidio che una seria minaccia per la salute. “La maggior parte delle muffe, anche quando se ne avverte l’odore, sono innocue”, dice un bollettino universitario. (UC Berkeley Wellness Letter) Di solito a risentire degli effetti indesiderati sono coloro che hanno malattie polmonari, come l’asma, individui con allergie, sensibilità agli agenti chimici o sistema immunitario debole, e anche agricoltori che possono venire a contatto con grandi quantità di muffa. I bambini e le persone anziane possono inoltre avere una sensibilità maggiore.
Secondo il Dipartimento della Sanità della California, le muffe possono provocare i seguenti sintomi: ‘Problemi respiratori, come sibilo, difficoltà a respirare e fiato corto; congestione nasale e sinusite; irritazione agli occhi (bruciore, lacrimazione o occhi arrossati); tosse secca; irritazione nasale o della gola; eruzioni cutanee o irritazioni’.
In alcuni paesi è normale sentire di scuole che vengono chiuse o di case o uffici che devono essere sgombrati perché siano bonificati dalla muffa. All’inizio del 2002 il Museo di Arte Moderna di Stoccolma, appena inaugurato, dovette essere chiuso a causa della muffa. L’operazione di bonifica costò circa 4 milioni di euro.
Un interno del Museo di Arte Moderna di Stoccolma

 Perché di recente questo problema è diventato più comune?
La risposta implica due fattori principali: materiali da costruzione e progettazione. Negli ultimi decenni i materiali da costruzione hanno incluso prodotti che sono più soggetti all’attacco delle muffe. Un esempio è il cartongesso, costituito da uno strato di gesso tra fogli di cartone resistente. La parte centrale trattiene l’umidità. Così se questo materiale rimane umido per lunghi periodi, le spore della muffa possono germinare e crescere, nutrendosi del cartone.
Anche la progettazione degli edifici è cambiata. Prima degli anni ’70, negli Stati Uniti e in diversi altri paesi gli edifici erano isolati meno di quelli progettati in seguito. I cambiamenti sono stati fatti per ridurre il consumo energetico negli edifici minimizzando le perdite e l’assorbimento di calore e riducendo gli spifferi. Ma ora quando l’acqua si infiltra tende a rimanere più a lungo, favorendo la formazione della muffa. C’è una soluzione?
Il modo più efficace per risolvere, o almeno minimizzare, il problema della muffa è quello di tenere tutto pulito e asciutto dentro casa e far sì che ci sia poca umidità. Se in qualche punto si accumula acqua, asciugate subito la zona e fate i necessari cambiamenti e le riparazioni perché l’acqua non ristagni di nuovo. Per esempio mantenete le grondaie e il tetto puliti e in buone condizioni. Assicuratevi anche che la pendenza del terreno sia tale da non far ristagnare l’acqua intorno alle fondamenta. Se avete l’aria condizionata tenete pulite le vaschette in cui si raccoglie l’acqua e accertatevi che i tubi di scarico della condensa non siano ostruiti.
Una fonte autorevole dice: “Il segreto per tenere sotto controllo la muffa è tenere sotto controllo l’umidità”. Alcune semplici precauzioni possono evitare a voi e alla vostra famiglia di dover fare i conti con la muffa. In un certo senso la muffa assomiglia al fuoco: può danneggiare gravemente, ma può anche essere estremamente utile. Molto dipende dall’uso che ne facciamo e da come la controlliamo.

La gazza è davvero una ladra?

Quando, nel 1817, il compositore italiano Gioacchino Rossini scrisse l’opera La gazza ladra, di certo credeva che le gazze fossero cleptomani. E anche altri hanno la stessa idea di questo uccello estroverso. “Bricconcelle e seccatrici, le gazze sono tra i giocosi fuorilegge del West”, dice un libro sugli uccelli nordamericani. (Book of the North American Birds) Queste gazze dal becco nero, pur essendo note altrove, furono viste per la prima volta negli Stati Uniti durante la famosa spedizione di Lewis e Clark del 1804-06 che aprì le porte del West. Alcuni membri della spedizione dissero che le gazze entravano nelle loro tende e rubavano il cibo.
Se vivete in Europa, Asia, Australia o America Settentrionale, potreste imparare a riconoscere le gazze locali. Si tratta in genere di uccelli grandi, lunghi anche 50 centimetri e più, con un disegno bianco e nero ben marcato sulle ali e sul corpo. La coda è lunga, con riflessi verdi, e il becco robusto. Le gazze spesso vivono in gruppi e difendono con coraggio il loro territorio, anche dagli uomini.
Le gazze della Gran Bretagna a prima vista potrebbero sembrare semplicemente nere con l’addome e le remiganti bianche, ma hanno dei bei colori brillanti anche se non molto evidenti. Il corpo e le lunghe penne della coda hanno riflessi verdi e violetti, mentre in cima alla coda ci sono anche riflessi bronzei. La coda è pari a oltre metà della lunghezza dell’uccello.
Le gazze dal dorso nero, diffuse in Australia, sono apprezzate per i gorgheggi e i richiami melodici e gioiosi. Se sentite i richiami delle gazze e del kookaburra, è segno sicuro che siete in Australia. Oltre che dal suo canto caratteristico, la gazza dal dorso nero si riconosce dalle chiazze bianche sul dorso lucido, sulla base della coda, sulle ali e sotto la coda.
Allora, la gazza è davvero una ladra? Un libro afferma: “Negli Stati Uniti occidentali la gazza è stata a lungo disprezzata in quanto ladra e saprofaga”. (Song and Garden Birds of North America) Quest’ultima, pungente osservazione, però, in realtà fa onore a questo uccello. Perché? Perché gli animali saprofagi eliminano le carogne di altri animali e uccelli. Che la si apprezzi o no, la gazza è un’altra delle 9.300 specie di uccelli che arricchiscono e abbelliscono la terra.

Incomunicabilità tra uomini e donne?

I linguisti ritengono che spesso i problemi che si incontrano nel comunicare tra marito e moglie dipendono dalle differenze tra uomini e donne. Libri come You Just Don’t Understand (Non capisci proprio) e Men Are From Mars, Women Are From Venus (Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere) sostengono che uomini e donne, pur parlando la stessa lingua, comunicano in modi profondamente diversi.
Le donne sono generalmente note per la loro sensibilità, eppure molti uomini danno prova di una delicatezza straordinaria nel modo in cui trattano gli altri. La razionalità viene in genere attribuita maggiormente agli uomini, eppure spesso le donne sono dotate di una logica ferrea. Perciò, anche se non si può parlare di qualità esclusivamente maschili o puramente femminili, una cosa è certa: Capire il modo in cui un’altra persona vede le cose può fare la differenza tra una pacifica coesistenza e la guerra aperta, specialmente nel matrimonio.
La sfida quotidiana di comunicare tra marito e moglie è formidabile. Molti mariti perspicaci possono confermare che la domanda: “Ti piace la mia nuova acconciatura?”, che trae in inganno per la sua apparente semplicità, può essere invece irta di pericoli. Molte mogli accorte imparano a trattenersi dal chiedere in continuazione: “Perché non ti fermi e non chiedi indicazioni?” quando sono in viaggio e il marito non trova la strada. Anziché disprezzare le apparenti stranezze del coniuge e ostinarsi a conservare le proprie, giustificandosi con un “Io sono fatto (o fatta) così”, il marito e la moglie che si vogliono bene guardano oltre le apparenze. Questo non significa scrutare freddamente il modo di comunicare dell’altro, ma cercare di capire ciò che l’altro ha nel cuore e nella mente.

Come ogni persona è diversa da tutte le altre, così lo è ogni matrimonio, che è l’unione di due individui.

Ad esempio, è molto facile dare per scontato che gli altri vedano le cose come le vediamo noi. Spesso soddisfiamo i bisogni degli altri come vorremmo che fossero soddisfatti i nostri, forse cercando di seguire un antica regola di grande saggezza: :“Tutte le cose dunque che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle loro”.
Questo però non significa che quello che volete voi dovrebbe andar bene anche agli altri. Piuttosto, voi desiderate che gli altri vi diano quello che voi volete, o di cui voi avete bisogno. Perciò dovete dare agli altri quello di cui loro hanno bisogno. Questo è particolarmente essenziale nel matrimonio, in quanto ciascun coniuge si è solennemente impegnato a soddisfare nella maggior misura possibile i bisogni dell’altro.

La banana, un frutto da apprezzare

I GRECI e gli arabi lo  definirono “un albero da frutto straordinario”. Nel 327 a.c.  fu scoperto in India dagli eserciti di Alessandro Magno. Secondo una vecchia leggenda, i saggi dell’India riposavano alla sua ombra e mangiavano del suo frutto. Per questo è stato chiamato “il frutto dei saggi”. Che cos’è? Ma come, la banana!

Ad ogni modo, come ha fatto la banana ad andare dall’Asia alle Antille? Ebbene, antichi mercanti arabi portarono le radici della pianta di banano dall’Asia alla costa orientale dell’Africa. Nel 1482 esploratori portoghesi scoprirono la pianta di banano che vi cresceva e fecero pervenire alcune radici e il suo nome africano, banana, alle colonie portoghesi delle Canarie. Il passo successivo per arrivare nel Nuovo Mondo fu la traversata dell’Atlantico. Ciò avvenne nel 1516, alcuni anni dopo i viaggi di Colombo. Missionari spagnoli portarono piante di banano nelle Antille e nei paesi affacciati al Mar Caribico. Così questa straordinaria pianta da frutto dovette fare il giro di mezzo mondo per raggiungere l’America Centrale e Meridionale.
Si dice che nel 1690 la banana venne portata per la prima volta dalle Antille nella Nuova Inghilterra. I puritani bollirono lo strano frutto che però non risultò gradito. Comunque nei paesi dell’America Meridionale e Centrale, come pure in altri paesi tropicali, milioni di persone fanno bollire certe banane verdi e le mangiano con gusto.
Il banano non è un albero. Non ha fibre legnose. È invece una gigantesca pianta erbacea che somiglia a una palma. Clima e suolo determinano la crescita e le dimensioni della pianta. Le banane crescono meglio nei climi caldi e umidi e prosperano nei terreni permeabili ricchi, sabbiosi e argillosi. Per avere le migliori condizioni di crescita la temperatura non dovrebbe mai scendere al di sotto dei 20°C.
Una pianta di banano
Per iniziare una coltivazione si devono piantare i cosiddetti polloni, che si ottengono dal fusto sotterraneo delle piante adulte. Si scavano buche profonde 30 centimetri e distanti 5 metri le une dalle altre. Nel giro di tre o quattro settimane appaiono i germogli verdi e spuntano foglie verdi strettamente avvolte che si srotolano man mano che crescono. Le piante di banano crescono molto rapidamente, circa 3 centimetri al giorno. Dopo dieci mesi la pianta è matura e somiglia a una palma; può essere alta da 3 a 6 metri.
Nella pianta adulta, dalle foglie avvolte in un fascio spunta una grossa gemma con piccole brattee purpuree. Poi compaiono gruppi di piccoli fiori. Una pianta produce solo un casco, che pesa da 30 a 50 chili e ha da 9 a 16 gruppi di banane; ciascun gruppo, detto mano, contiene da 10 a 20 banane. Così le banane si potrebbero chiamare dita.
Le banane crescono prima in giù, verso terra, poi all’infuori e in su, formando la ben nota curva della banana. Come vengono nutrite e protette durante la crescita? Al momento giusto la gemma viene staccata affinché le banane possano ricevere tutta l’energia della pianta. Quindi l’infruttescenza viene coperta con un sacco di polietilene per tenere lontani gli insetti. Poiché le banane crescono verso l’alto e diventano molto pesanti, la pianta è legata alla base delle piante vicine per impedire che il vento o il peso dei frutti la facciano rovesciare. Infine si fissa alla copertura un nastro colorato per indicare quando il frutto sarà pronto per la raccolta.
Ogni giorno la piantagione è sorvolata da aerei che irrorano le foglie delle piante. Ciò serve a proteggerle da tre principali malattie. Una è la malattia di Panama: un fungo che distrugge alcune piante. Ma queste sono sostituite da tipi resistenti alla malattia. Un’altra è una malattia detta moko, causata da batteri. Si combatte eliminando le piante colpite e i fiori che attirano certi insetti responsabili della malattia. C’è quindi la malattia di Sigatoka, che distrugge le foglie delle piante ma non danneggia le banane se si usano abbastanza presto spray chimici. Le banane abbisognano di moltissima acqua, che viene provveduta mediante irrigazione, compresi sistemi a pioggia. Si può aggiungere che la piantagione va tenuta sgombra da erbe ed erbacce.
Quando il colore del nastro indica che le banane sono pronte per la raccolta, prima vengono misurate per accertarsi che siano della grandezza giusta. Un altro particolare degno di nota è che le banane non sono mai lasciate a maturare sulla pianta, neppure quelle destinate al consumo locale. Perché? Perché perderebbero il sapore. Prima di decidere quando effettuare la raccolta, bisogna considerare a che distanza dovranno essere trasportate e che tipo di trasporto sarà utilizzato. Dopo di che si tagliano i caschi con il machete e si inviano all’apposito stabilimento. E che ne è della pianta di banano dopo la raccolta? Viene abbattuta per fertilizzare le nuove piante che cresceranno al suo posto.
Allo stabilimento le banane vengono lavate e quelle ammaccate sono messe da parte per essere consumate dagli operai e dalle loro famiglie. Le banane piccole saranno usate per farne estratto e alimenti per bambini. Le banane migliori vengono impacchettate, 18 chili per scatola, e inviate all’estero su navi e treni refrigerati.
Nel porto viene controllata la qualità del prodotto e ne viene misurata la temperatura. Dopo essere state raccolte, le banane devono rimanere verdi finché non arrivano sul mercato, e dato che sono deperibili, devono essere raccolte, spedite e vendute nei negozi nel giro di 10-20 giorni. Vengono tenute al fresco alla temperatura di 12-13°C per impedire che maturino. Con i moderni mezzi di trasporto le banane possono essere inviate dall’America Centrale e Meridionale perfino in Canada e in Europa senza alcun problema.
Esistono cento o più varietà di banane. La “dwarf Cavendish” è il tipo comune, esportato soprattutto in Europa, Canada e Stati Uniti. Nell’Honduras abbondano varietà più piccole, che hanno la buccia troppo sottile per poterle esportare. Sono note con il nome di manzana (mela) e Red Jamaica.
Le foglie di banano contengono utili fibre e trovano vari impieghi nei paesi tropicali. Andando in un mercato all’aperto si vedono spesso le foglie ammucchiate per la strada: vengono vendute per avvolgere i tamales caldi, un piatto molto popolare in vari paesi.
A molti nell’Honduras piace mangiare come contorno la varietà di banana detta “plantain”. Un piatto squisito che si prepara sulla costa settentrionale dell’Honduras è detto machuca. Per prepararlo si pesta nel mortaio questa varietà di banana non matura, si aggiungono spezie e il miscuglio viene cotto insieme a granchi nell’olio di cocco.
Negli Stati Uniti si consumano annualmente circa 11 miliardi di banane. Ne viene inviata una gran quantità in Canada e Gran Bretagna e in altri paesi d’Europa. Qual è il valore nutritivo di questo frutto? Le banane sono ricche di vitamina A e C, carboidrati, fosforo e potassio.
La banana trova moltissimi impieghi. È l’ideale per spuntini, insieme a cereali, in macedonie di frutta, crostate, torte e, naturalmente, per la famosa banana split. Ma la prossima volta che mangiate una banana matura, pensate alle sue eccezionali qualità. Questo frutto ha la propria confezione. È ricco di vitamine e minerali. E potrebbe aver fatto il giro di mezzo mondo per arrivare sulla vostra tavola.
La tanto amata Banana Split

Il prezioso dono dell'umorismo

Si dice che l’umorismo sia la capacità di vedere il lato comico o divertente delle cose. Si dice pure che sia quella qualità che fa leva sul senso del ridicolo o dell’assurdo.
Si verifica una situazione umoristica quando qualcosa è fuori luogo o non appropriato. Per esempio, un serio uomo d’affari londinese, con tanto di ombrello chiuso e giornale, che sguazza nell’acqua del mare, sarebbe una cosa assurda, strana, e farebbe sorridere i presenti. Per citare un altro esempio, se un cane o un gatto entrasse in un’aula scolastica, susciterebbe molte risate, perché di solito un tale animale è fuori posto in un’aula.
Questo tipo di umorismo si basa sugli imprevisti. Per esempio, se un uomo si togliesse il cappello davanti a una donna e ne volasse fuori un piccione, gli osservatori riderebbero di tale cosa inaspettata. Una notizia dalla Nigeria dice che quando accade qualcosa di inaspettato gli africani reagiscono con grande spontaneità. Così di solito ridono quando un uomo scivola su una buccia di banana. Ma corrono anche immediatamente in suo aiuto pieni di comprensione e preoccupazione.
Il più delle volte l’umorismo si esprime a parole. E l’umorismo basato sulle parole è piuttosto vario, secondo nazionalità, usanze, ambiente e altri fattori. C’è l’umorismo intellettuale o sottile, c’è quello grossolano, o più rude e chiassoso, e quello più arguto o tagliente, che si può anche chiamare “spirito”.
Inoltre, ciò che è divertente per le persone di una nazione può non avere senso per quelle di un’altra nazione.
Sebbene le varie forme di umorismo verbale non si limitino a un particolare paese o nazionalità, molti sono più o meno noti per certi tipi di umorismo. Ad alcuni, come agli americani, piace l’iperbole, un’esagerazione intenzionale per dare enfasi o per produrre un effetto umoristico. “Piove a catinelle”, ne è un esempio. Inoltre: “Muoio dal ridere”. “Ho provato mille volte”. Frasi simili, naturalmente, non sono letterali e l’ascoltatore di solito lo capisce.
Famoso è l’humour inglese, cioè dire qualcosa di divertente con aria di noncuranza e con la faccia seria. Agli inglesi piace anche minimizzare. A questo riguardo, il libro Humour in Memoriam di George Mikes dice: “Quello di minimizzare non è semplicemente un sistema per fare battute; in Inghilterra è un modo di vivere. Anche ad altri piace sminuire e gli inglesi non ne hanno l’esclusiva. Nel New Yorker c’era una vignetta con due uomini sul trapezio volante e uno aveva appena mancato la mano dell’altro, a trenta metri d’altezza. L’uomo che aveva fatto l’errore per distrazione diceva: ‘Ooop, spiacente’. Un modo di minimizzare tipico degli americani. Ma in altri paesi questo si fa con noncuranza; in Inghilterra, fa parte del temperamento nazionale; è nell’aria. Il più delle volte non è neppure inteso come battuta”.
Per citare un esempio di ciò, George Mikes narra quanto segue: Dice che un vapore stava attraversando il canale della Manica. “Sul ponte c’eravamo soltanto io e un altro e imperversava una violenta tempesta. Un vento tremendo sollevava onde gigantesche. Rimanemmo lì rannicchiati per un po’ senza dire una parola. All’improvviso una raffica spaventosa spinse l’altro uomo in mare. La sua testa emerse solo una volta dalle acque sottostanti. Mi guardò con calma e osservò con una certa indifferenza: ‘Tira un po’ di vento, vero?’”
L’umorismo irlandese ha un suo fascino. Stephen Leacock ne fa un esempio nel suo libro Humour: “È stato appena dato l’ordine di non attaccare l’ultima carrozza ai treni, perché è sempre soggetta a sgradevoli scosse e oscillazioni’”. Inoltre: “Non scendere dalla scala, Pat, perché l’ho tolta”.
Lo stesso scrittore cita il seguente esempio di umorismo scozzese, che, secondo l’opinione generale, è piuttosto macabro: “La moglie di uno scozzese si ammalò e, apparentemente, morì. Al funerale, mentre la bara veniva portata in chiesa, i portatori urtarono accidentalmente contro uno stipite della porta. La scossa fece tornare in vita la donna. Fu tirata fuori dalla bara e visse per molti anni. Poi si ammalò e, questa volta, morì per davvero. Al funerale, mentre la bara si avvicinava alle porte della chiesa, il marito della defunta disse ai portatori: ‘Piano, ragazzi, piano; non fatela sbattere’”.
L’umorismo spagnolo è spesso un indice della tendenza a sottovalutarsi. Nella rivista El Triunfo c’era una vignetta con due uomini impegnati in una conversazione. Uno dice: “Ora è di moda la cultura. Abbiamo il ministero dell’Istruzione . . . il ministero della Cultura . . . e un consigliere del Presidente per la cultura”. L’altro risponde: “Ottimo! Adesso abbiamo bisogno solo delle scuole”. Ridere delle proprie debolezze è un aspetto importante dell’umorismo.
Battute e barzellette pulite e sane sono ottime al tempo e nel luogo appropriati e fanno divertire, e tutti a volte abbiamo bisogno di rilassarci. L'umorismo va comunque usato con moderazione e buon gusto. In tal caso, può aggiungere un tocco di brio e di vivacità alla vita quotidiana.


Più sangue, più intelligenza!

Si ragiona meglio con un battito cardiaco più veloce, afferma John Cacioppe, dell’Università di Notre Dame nell’Ohio. Egli ha fatto esperimenti su persone che hanno il pacemaker. Il pacemaker era regolato su un battito cardiaco di 72 pulsazioni al minuto. Egli ha portato il battito cardiaco a 88 pulsazioni mettendo una piccola calamita sopra il pacemaker. Non c’era pericolo e i soggetti non si accorgevano neppure dell’aumentato ritmo cardiaco.
Prima Cacioppe ha fatto leggere a 14 soggetti un brano per vedere se lo comprendevano e se erano poi in grado di rispondere a domande su di esso. In un secondo esperimento ha fatto comporre loro molte brevi e semplici frasi, più che potevano in 90 secondi. In entrambi gli esperimenti ha riscontrato che accelerando il battito cardiaco di questi soggetti il loro rendimento migliorava. Nel primo esperimento, ad esempio, il loro punteggio è salito dal 39 per cento al 49 per cento.
Un altro esperimento — questa volta sono stati usati brani controversi in cui dovevano dire se erano d’accordo o no — ha rivelato la stessa cosa: aumentando il ritmo cardiaco aumentava il numero e migliorava la qualità degli argomenti presentati.

Imparare qualche arte

A differenza di oggi, in passato quasi tutti avevano qualche abilità manuale. Molte delle cose usate o indossate dovevano essere necessariamente fatte a mano. Bisogna dire che l'uniformità di determinati articoli prodotti in serie fa desiderare ad alcuni gli articoli fatti a mano che rivelano la bravura dell'artigiano. Molti traggono da questi lavori grande soddisfazione personale, qualcosa che non si prova spesso in una società industrializzata.
Alcuni educatori prendono molto seriamente l’insegnamento di qualche arte. Perché? Considerano tali lezioni un’occasione non solo per aiutare gli studenti a imparare a fare certi oggetti, ma anche per formare la loro personalità. Il prodotto finale di una di queste lezioni è considerato secondario rispetto all’acquisizione di iniziativa, inventiva, flessibilità, adattabilità e spirito creativo, oltre a tolleranza, comprensione e cooperazione nelle attività in gruppo.
Il valore terapeutico dei lavori a mano è riconosciuto anche da coloro che assistono i malati di mente. Tali lavori fanno sentire utili e possono aiutare nei rapporti con gli altri, poiché insegnano a essere partecipi e a collaborare. In questo modo ci si sente necessari.
Di positivo c’è che vi sono numerosi benefici. Può far sentire utili e dare la consapevolezza che il lavoro delle proprie mani è produttivo. Molti hanno bisogno di questo, dato che forse svolgono un lavoro quotidiano meccanico che non gli dà la possibilità di esprimere la propria abilità creativa. Un vantaggio è che si possono fare oggetti pratici e ornamentali per familiari e amici. Un dono fatto con le proprie mani e adatto alla personalità o ai bisogni di chi lo riceve può esprimere grande amore e interessamento da parte del donatore. Dato che sono una forma di svago, tali lavori possono anche servire a rilassare il corpo e la mente, cosa di cui tutti hanno bisogno. Molti preferiscono passare un po’ di tempo facendo un lavoro costruttivo anziché stare passivamente seduti davanti al televisore.
Nel determinare che tipo di lavoro sarebbe adatto per voi, tenete conto delle vostre personali circostanze.
Se scegliete un lavoro che causa disordine, abbiate considerazione per la persona che fa le faccende domestiche.
L’ideale, naturalmente, è che tutta la famiglia partecipi. A parte i vantaggi per i bambini, svolgere insieme lavori di questo tipo rafforza i legami tra i familiari.
Una coperta-patchwork
 Bisogna anche esaminare l’aspetto economico. Usando gli attrezzi che si trovano in casa, si possono fare molti lavori senza troppa spesa. Il patchwork è uno di questi. Se occorrono speciali attrezzi, vari amici interessati al lavoro potrebbero decidere di mettersi insieme e acquistare in comune telai, arcolai, torni da vasaio, eccetera. Alcuni lavori, come fare il macramè, non richiedono altro strumento che le dita. In quanto ai libri di istruzioni, in quasi tutte le biblioteche ce n’è un’ampia scelta.
Un divano in stile patchwork
Se un lavoro a mano stimola l’immaginazione e soddisfa il bisogno individuale di esprimere il proprio spirito creativo è facile andare oltre e farsi prendere la mano. Si può essere così assorti in esso da trascurare cose più importanti. E se uno è già troppo occupato, un tale lavoro non farebbe altro che aggravarlo e non servirebbe allo scopo.

È pure bene essere sicuri di sé prima di spendere denaro in una costosa serie di attrezzi e materiali. Sono in vendita molti corredi che permettono di cimentarsi in un lavoro prima di acquistare articoli che potrebbero non essere mai usati se non si continua. Forse è utile parlare ad altri che già svolgono un lavoro del genere. Forse vi lasceranno provare con i loro attrezzi e materiali. Così facendo eviterete errori inutili e non rimarrete delusi.
Vorreste imparare qualche arte? A voi la decisione. Ricordate però che acquistando l’abilità di fare qualche lavoro a mano potete rendere più piacevole la vostra vita e fare anche qualcosa di utile per altri.

giovedì 5 settembre 2013

Saper affrontare un ustione

Il mensile statunitense Reader’s Digest, che tratta argomenti di carattere generale per le famiglie, nel numero del Giugno 1979 fece questa sorprendente dichiarazione: “Ora le ustioni sono la principale causa di morte per le persone al di sotto dei 40 anni e al terzo posto fra le cause di morte per persone di qualsiasi età”.
Sono trascorsi più di 30 anni da allora ma rimane comunque importante avere una conoscenza basilare su cosa fare in caso di ustione.
 Un elemento importante è l'uso del freddo nel curare le ustioni. Sebbene questo metodo era noto agli antichi, sembra che molte volte venga ignorato incautamente. In realtà, l'acqua fredda arresta la distruzione dei tessuti che può continuare per molto tempo dopo essere stati ustionati.
Se ad esempio un ustione interessa solo una mano o un'estremità inferiore, è sufficiente immergerla semplicemente in acqua e ghiaccio per una quindicina di minuti. Trascorso tale tempo, si tira fuori e la si immerge di nuovo e così via finchè la zona colpita abbia smesso di procurare dolore una volta fuori dell'acqua.

Il contatto immediato col freddo arresta evidentemente la diffusione delle ustioni, impedendo la formazione di piaghe più profonde e gravi.
In caso di ustioni particolarmente gravi, comunque, bisogna agire con cautela. Se si applica troppo freddo, la temperatura del corpo può scendere repentinamente in diverse parti del corpo, provocando uno shock.
Qualora la situazione si aggravi a causa di perdita di liquidi e di un intervento medico tempestivo, si deve far bere alla persona ustionata una soluzione di sale e bicarbonato. Un cucchiaino di sale e mezzo di bicarbonato corrisponde circa al tipo di liquidi che il corpo sta perdendo.
Nella nostra epoca, in gran parte degli ospedali, ci sono reparti per gli ustionati e i passi avanti compiuti nella cura delle ustioni sono stati veramente di grande beneficio. Con tali progressi, anche persone che hanno subìto ustioni su oltre il 50 per cento del loro corpo hanno buone probabilità di sopravvivere se curate in centri equipaggiati a tal scopo.
Naturalmente, la prevenzione è l'arma migliore per evitare brutti incidenti. Una di queste sarebbe quella di smettere di fumare. Fiammiferi e tabacco sono stati spesso additati come la più comune causa d'incendio. Per non parlare di quanto sia rischioso fumare a letto!
Altrettanto importante è tenere fuori della portata dei bambini i liquidi bollenti. Spesso le vittime sono loro.
Un altro accorgimento è quello di regolare lo scaldabagno in modo tale che nessuno si scotti con l'acqua che esce dai rubinetti.
In sostanza, si tratta il più delle volte di essere previdenti. Se stessimo tutti maggiormente attenti a evitare le ustioni e, in caso succeda, sapessimo come curarle immediatamente, meno persone correrebbero questo rischio.