martedì 10 settembre 2013

Il segreto delle bollicine

In tutto il mondo Champagne è sinonimo di party e festeggiamenti. Effervescenza e bollicine, tipiche di questa bevanda, sono infatti il segno caratteristico di molte occasioni festose.

Molti ascrivono a Dom Pérignon il merito di aver inventato lo champagne. Comunque stiano le cose, è certo che lui contribuì notevolmente a migliorarne la qualità. Questo monaco benedettino fu cellerario dell’abbazia di Hautvillers, nel cuore della regione francese della Champagne, dal 1668 fino alla sua morte, avvenuta nel 1715. Alcuni attribuiscono a lui il merito di aver messo a punto numerose tecniche tuttora usate nella produzione dello champagne.
I primi a entusiasmarsi per il vino spumante furono gli inglesi, ma fu la corte francese a scoprire questa bevanda di lusso nel XVIII secolo. Va detto, però, che per poter essere chiamati champagne i vini devono essere prodotti nell’omonima regione della Francia. Anche l’uva deve provenire da lì!
Uno scorcio della regione francese 'Champagne'
Fino a una profondità di circa 100 metri il sottosuolo della regione della Champagne è gessoso ed è coperto da un sottile strato di materiale alluvionale. Questa caratteristica garantisce un’umidità costante, e di notte il terreno restituisce il calore accumulato durante il giorno. Inoltre le radici delle viti penetrano nel terreno a oltre 10 metri di profondità, facilitando   l’assorbimento dei minerali essenziali alla finezza del vino.
Benché la regione che porta il nome dello champagne abbia un’estensione di circa 35.000 ettari, le vigne occupano approssimativamente 28.000 ettari. Le viti vengono piantate sulla parte superiore della collina per limitare gli effetti devastanti delle gelate, come quella del 1985 in cui la temperatura toccò i 30 gradi sotto lo zero. Si coltivano tre vitigni diversi: il Pinot Meunier, il Pinot Noir e lo Chardonnay. I primi due producono uve nere mentre il terzo uve bianche.
Il vino Chardonnay

I grappoli raccolti vengono messi immediatamente in grandi torchi poco profondi, per evitare che le bucce tingano il succo. Da una prima spremitura di quattro tonnellate d’uva si ottengono 2.050 litri di cuvée, usata solo per i vini migliori. Dalle due successive spremiture si ottengono rispettivamente 410 e 205 litri di succo di qualità inferiore. Dopo di che, tutto ciò che si ricava non è vero champagne.
Per alcune settimane i fermenti lavorano silenziosamente nei fusti di quercia o d’acciaio. Consumando gli zuccheri presenti nel succo d’uva, i microrganismi rilasciano alcool e anidride carbonica come prodotti di rifiuto. La prima fermentazione è simile a quella che avviene in qualsiasi vino. Il risultato di questo processo è un vino tranquillo, non spumante. È giunto il momento di trasformare quest’ottimo vino in un nettare effervescente.
Si misura il contenuto di zucchero del vino tranquillo e lo si regola approssimativamente a 25 grammi per litro aggiungendo un liquore composto da zucchero di canna dissolto in vino invecchiato. Il vino così ottenuto viene poi imbottigliato e sigillato con tappi provvisori. Per parecchi mesi le bottiglie vengono lasciate riposare in posizione orizzontale nelle cantine a una temperatura di 10 gradi. In questo periodo i lieviti si rimpinzano di zucchero e iniziano lentamente la seconda fermentazione. Consumando di nuovo zucchero, i microrganismi producono altra anidride carbonica. Ma questa volta, a differenza di quanto è avvenuto nei tini, l’anidride carbonica non può uscire. Rimane imprigionata nelle bottiglie, aumentando costantemente la pressione a circa sei atmosfere. Quando le bottiglie vengono stappate, si liberano cinque o sei litri di gas che determina la famosa effervescenza e i milioni di bollicine.
Per sostenere tale pressione, le bottiglie devono essere robuste e vanno tappate con forza. In passato ciò presentava notevoli difficoltà ai produttori. Per esempio, nel libro The Story of Wine Hugh Johnson riferisce che verso la fine del XIX secolo “era decisamente poco saggio avventurarsi in una cantina di champagne, soprattutto in primavera, senza una maschera di metallo per proteggere la faccia dai frammenti di vetro che volavano”.
Lo champagne, però, non è ancora pronto. Bisogna eliminare il deposito costituito dalle cellule dei lieviti morti e dai sali minerali per impedire che intorbidino il vino. Questo è il compito tradizionale dei remueurs, o scuotitori di bottiglia. Le bottiglie vengono inclinate progressivamente con il collo verso il basso e ogni giorno i remueurs le ruotano da un ottavo di giro fino a un quarto di giro. Alcuni remueurs riescono a ruotare fino a 10.000 bottiglie all’ora! Nel caso degli champagne comuni, però, questa fase si sta gradualmente automatizzando.
Alcuni remueurs all'opera

Infine il deposito si raccoglie nel collo della bottiglia. Viene eliminato mediante un processo detto dégorgement, sboccatura. Il collo delle bottiglie capovolte viene immerso in una soluzione salina a -27 gradi. Le bottiglie vengono quindi aperte rapidamente. La pressione interna fa uscire il deposito ghiacciato. Per compensare la perdita di volume viene aggiunto nuovo liquore. Il suo grado zuccherino determina se lo champagne sarà brut (secco), demi-sec (semisecco) o dolce, per soddisfare i gusti del consumatore. Ora le bottiglie possono finalmente essere sigillate con speciali tappi di sughero che gradualmente hanno assunto la tipica forma a fungo, una delle caratteristiche dello champagne.
Il tappo, però, dev’essere assicurato saldamente. I primi tentativi di fissarlo usando la canapa fallirono, perché quest’ultima marciva a causa dell’umidità delle cantine. Poi fu la volta del semplice filo metallico, ma si arrugginiva e tagliava il sughero. Infine, venne un’altra idea: mettere sul tappo di sughero un cappuccio di metallo e fissarlo con una gabbietta di filo metallico. Questo è il sistema con cui si sigillano le bottiglie da 150 anni a questa parte. Infine si applicano il collare e l’etichetta decorativa.
Si è cercato di produrre un vino simile in molte zone vinicole. Pur utilizzando gli stessi metodi, però, il prodotto finale può chiamarsi solo spumante, non champagne, dato che il nome è protetto. Recentemente uno stilista francese ha messo in circolazione un profumo col nome di Champagne, ed è finito in tribunale. È successa la stessa cosa a un inglese che ha immesso sul mercato una bevanda fatta con i fiori di sambuco chiamandola Elderflower Champagne e confezionandola in bottiglie simili a quelle dello champagne.
Come nel caso di molte industrie, anche quella dello champagne attraversò una crisi economica. Dopo i record di produzione del 1989, con 249 milioni di bottiglie, le vendite diminuirono lasciando molta eccedenza. Oggi i viticoltori limitano la produzione favorendo la qualità.
Lontano dalla luce e a una temperatura costante lo champagne può essere conservato per alcuni anni, ma è già stato invecchiato dal produttore. Pertanto lo si può consumare appena acquistato. Come va servito? Dovrebbe essere messo in fresco a una temperatura fra i sei e i nove gradi. A tal fine, un buon metodo può essere quello di mettere la bottiglia in un secchiello con acqua e cubetti di ghiaccio. Poi si dovrebbe versare lo champagne in bicchieri a calice alto e stretto per mettere in evidenza le bollicine che salgono.
Perciò se vi capita di assaggiare questa bevanda deliziosa pensate alle cure costanti che ci sono volute per realizzarla e godetevi i milioni di bollicine di cui ora conoscete il segreto.


sabato 7 settembre 2013

Gestire bene gli starnuti

Capita a tutti di voler disperatamente soffocare uno starnuto. Magari accade durante la nostra cerimonia di nozze, proprio mentre stiamo per pronunciare il sì. O forse durante una riunione o un’altra occasione seria, anche durante un funerale.

Naturalmente ci sono molte circostanze in cui un forte starnuto sembra piuttosto piacevole, facendo provare una sensazione di autentico benessere. Ma spesso il problema è come fare quando non si vuole starnutire.
Gli starnuti non sono tutti uguali. Alcuni hanno uno starnuto dalla nota allegra e molto forte che può essere sentito a notevole distanza. Altri starnutiscono in modo più delicato. C’è poi chi fa una sfilza di starnuti: tre, quattro, cinque o anche più di seguito. In casi rarissimi, persone hanno starnutito ininterrottamente a intervalli di pochi secondi o minuti per ore, giorni, settimane o anche mesi, rimanendo sveglie.
Cosa ci fa starnutire? Esiste un metodo sicuro per soffocare uno starnuto? È pericoloso interrompere volutamente uno starnuto una volta che il meccanismo si è messo in moto? E si può fare qualcosa per evitare di starnutire?
Pare che tutti starnutiscano a volte: vecchi e giovani, grandi e piccoli. È noto che perfino gli animali starnutiscono. Il più delle volte, la causa è una sostanza estranea (come polvere o polline) che irrita le vie aeree nasali. Ma il fattore scatenante di una crisi di starnuti può anche essere di natura emotiva. Per alcuni di noi, anche la forte luce solare è sufficiente a farci starnutire. Questo perché i nervi degli occhi sono strettamente collegati alle terminazioni nervose presenti nel naso.
Le sensibili terminazioni nervose reagiscono alla presenza di una sostanza irritante inviando un messaggio al cervello. Quest’ultimo ingiunge quindi al naso di produrre un liquido acquoso per favorire l’eliminazione della sostanza indesiderata. Il cervello trasmette anche messaggi ai polmoni così che inspirino una notevole quantità d’aria, poi alle corde vocali perché chiudano il passaggio aereo e impediscano all’aria di uscire. I muscoli della parete toracica e dell’addome ricevono quindi il segnale di tendersi, comprimendo così l’aria nei polmoni. Infine viene ordinato alle corde vocali di rilassarsi, e l’aria compressa è rapidamente espulsa, facendo di solito uscire la sostanza irritante insieme al liquido acquoso. Tutto questo avviene senza sforzo cosciente da parte nostra e in un tempo assai più breve di quello impiegato per leggere queste righe.
Nella maggioranza dei casi gli starnuti ininterrotti sono sintomo di una comune allergia detta raffreddore da fieno. L’irritazione è provocata dal polline delle piante, e sebbene il nome raffreddore da fieno possa far pensare che la colpa sia del fieno o dell’erba falciata di fresco, non è detto sia sempre così. I soggetti possono essere allergici a vari pollini o a uno soltanto. Quindi è facile capire perché chi soffre di raffreddore da fieno teme le stagioni in cui venti forti e secchi soffiano per giorni. Una volta che le vie aeree nasali sono irritate e si comincia a starnutire ininterrottamente, la più piccola particella di polvere che normalmente non causerebbe irritazione pare scatenare nella vittima un’altra crisi di starnuti.
Quando le vie aeree nasali sono congestionate a causa di un forte raffreddore di testa, gli starnuti possono recare un certo sollievo. È più facile respirare quando il muco viene eliminato dal naso in questo modo. Ma se quando si starnutisce non ci si copre il naso, quali sono le conseguenze per chi sta vicino?
I medici non pretendono ancora di capire alla perfezione tutti i modi in cui si può trasmettere il raffreddore. Tuttavia un’idea abbastanza valida è che si possa prendere il raffreddore respirando i germi che sono stati diffusi nell’aria con uno starnuto. Questo è possibile specie se si è entro i ristretti confini di una stanza riscaldata, o di un treno o autobus affollato dove c’è una quantità minima di aria fresca. Si crede che altre malattie, tra cui influenza, morbillo, orecchioni, polmonite, tubercolosi e pertosse, siano trasmesse con gli starnuti.
Alcune ricerche effettuate sulla potenza degli starnuti rivelano che la velocità con cui le goccioline di liquido contenenti germi vengono espulse dal naso e dalla bocca è di oltre 160 chilometri orari ed esse possono rimanere attaccate a superfici distanti quasi 4 metri. Altre goccioline restano sospese per un po’ nell’aria e verranno inspirate da ignari passanti.

Sono stati sperimentati molti metodi con vari gradi di successo. Alcuni affermano di avere interrotto o abbreviato l’“esplosione” di uno starnuto premendo fermamente un dito tra il labbro superiore e il naso. A quanto si dice, premendo forte in quel punto si bloccano alcuni dei nervi che intervengono nel meccanismo dello starnuto. Un altro modo può essere quello di soffiarsi il naso nel fazzoletto non appena si sente arrivare uno starnuto.
Nel caso di starnuti prolungati o di un attacco cronico, si può trarre sollievo facendo delle inalazioni, anche se la sostanza inalata è solo il vapore di acqua calda. Così si potrebbe spiegare perché molti che soffrono di raffreddore da fieno ricevono un temporaneo sollievo mentre fanno una doccia o un bagno caldo in una stanza piena di vapore.
Nel corso degli anni sono stati suggeriti vari metodi e tecniche, alcuni ragionevoli, altri assurdi. Sono state sperimentate con un certo successo creme anestetizzanti da applicare all’interno del naso. Ci sono poi sedativi, iniezioni, gocce, pillole, pozioni, psicoterapia, cauterizzazione della mucosa nasale oltre a odorare aglio o barbaforte. I suggerimenti più assurdi vanno dal mettersi sul naso una molletta per il bucato allo stare a testa in giù, dal ripetere l’alfabeto a rovescio allo strofinarsi lardo sulla faccia.
Un avvertimento: Non è sempre una buona idea soffocare o trattenere uno starnuto. È noto che la volontaria interruzione di un forte starnuto causa emorragie nasali e può far salire i batteri colpevoli nei seni paranasali, il che potrebbe estendere l’infezione. In rare occasioni, sono state provocate fratture ossee nel naso o attorno ad esso, e si è slogato un osso nell’orecchio medio.
In molti paesi c’è l’usanza di dire “salute” a chi starnutisce. Dove ha avuto origine questa usanza?
Secondo il libro How Did It Begin?, di R. Brasch, nell’antichità alcuni credevano che quando un uomo starnutiva era in pericolo di morte. Brasch aggiunge: “La paura nasceva da un’idea errata ma molto diffusa. L’anima umana era considerata l’essenza della vita. Il fatto che i morti non respiravano portò all’errata conclusione che l’anima dovesse essere il respiro. . . . Pertanto non sorprende che sin da tempi antichissimi la gente abbia imparato a rispondere a uno starnuto con apprensione e con il fervido augurio che Dio aiuti e benedica e conservi in vita chi starnutisce. Nel Medioevo questa antica origine dell’usanza doveva essere stata in qualche modo dimenticata, poiché il merito di avere introdotto l’espressione ‘Dio ti conservi la salute’, rivolta a chi starnutiva, fu attribuito a papa Gregorio Magno”.
La cosa vi meraviglierà, ma dello starnuto si sono serviti anche delinquenti. Sì, trasgressori della legge hanno trovato il modo di servirsi dello starnuto per fini cattivi. Un centinaio d’anni fa, in Inghilterra, certi ladri gettavano tabacco da fiuto in faccia a una persona. Poi, mentre questa era in preda a una violenta crisi di starnuti, i ladri la derubavano dei suoi oggetti di valore.
La maggioranza di noi non starnutirà mai perché qualcuno gli ha buttato in faccia del tabacco da fiuto. Ma che ci venga da starnutire all’improvviso o che siamo in preda a una crisi prolungata di starnuti, se abbiamo considerazione per il prossimo ci copriremo sempre il naso e la bocca con un fazzoletto di stoffa o di carta. Non solo questo è segno di buona educazione, ma è anche una precauzione ragionevole. Aiuta a non diffondere nell’aria goccioline cariche di germi che saranno inspirati dalla prima persona ignara che passerà. L’amore del prossimo suggerirebbe inoltre di cercare di proteggere gli altri facendo tutto il possibile per limitare la diffusione di germi.
Forse non è né saggio né possibile soffocare uno starnuto. Gli altri, però, apprezzeranno molto la vostra considerazione, e l’uso del fazzoletto, per trattenere uno starnuto!
Il modo corretto di starnutire in pubblico

Una meraviglia tinta di rosa

Uccello di fuoco! Così gli antichi greci definivano la fenice, un uccello mitologico che terminava la sua vita tra le fiamme e poi risorgeva dalle ceneri. Secoli fa il nome della fenice fu dato a un uccello vero, il fenicottero. Esso tiene fede a questo nome meglio di qualsiasi leggenda. Uno stormo di fenicotteri in volo è uno spettacolo eccezionale: una “fiammata” di rosa misto a nero e vermiglio che si leva verso il cielo gridando e oscurandolo.

E il fenicottero stesso è una meraviglia di progettazione, dalla testa ai piedi. Considerate il becco “a tabacchiera”, una cassa oblunga e con coperchio, ripiegato in basso all’estremità così da essere parallelo al fondo dello specchio d’acqua mentre l’uccello muove la testa avanti e indietro nell’acqua bassa in cerca di cibo. Il becco è rivestito internamente di setole che non lasciano passare gli oggetti più grossi, imprigionando invece pezzetti commestibili di alghe, ecc., mentre la lingua pompa l’acqua dentro e fuori. Solo le balene mangiano allo stesso modo, impiegando i fanoni come filtro per trattenere piccoli gamberetti.

Fra tutti gli uccelli, il fenicottero è quello che, in proporzione, ha le gambe e il collo più lunghi. Può superare il metro e ottanta di altezza. Le gambe lunghe e sottili sono adatte alla vita nelle acque basse dei laghi salati dove perfino si riposa, al sicuro dai predatori e nella posizione più inverosimile: su una sola gamba! Gli esperti dicono che il fenicottero sta su una gamba per far riposare l’altra. Uno speciale tendine permette all’uccello di bloccare fermamente sul posto la gamba a mo’ di palo. È pure dotato di un eccezionale senso dell’equilibrio. Davvero un animale meraviglioso!

Un bicchiere d'acqua vi farà star meglio!

Eccola che scorre dal rubinetto in cucina. Di solito è alla portata di tutti. Costa poco, eppure può farvi stare meglio. È uno degli alimenti più importanti per il nostro corpo. È acqua pura, fresca. Ma il semplice consiglio di bere più acqua fresca è spesso trascurato anche da chi ha cura della propria salute.

Sapevate che circa il 70 per cento del peso complessivo del nostro corpo è costituito da acqua? Quindi non è difficile capire perché abbiamo bisogno di molta acqua affinché il nostro corpo sia sano.
Naturalmente i reni fanno uno splendido lavoro. Forniti di milioni di unità filtranti, i reni eliminano le impurità del sangue e restituiscono il fluido purificato al torrente sanguigno. Si calcola che dovremmo bere migliaia di bicchieri d’acqua al giorno se non fosse per l’acqua riciclata dai reni.
Ma anche con reni sani che funzionano bene, la riserva di acqua pura del nostro corpo diminuisce costantemente e deve essere rifornita. Senza fluido sufficiente per eliminare i residui del metabolismo, le cellule del corpo possono lentamente essere avvelenate dai loro stessi rifiuti.
Fortunatamente molto del cibo che mangiamo ci fornisce gran parte dell’acqua necessaria perché parecchi alimenti sono costituiti in prevalenza d’acqua. Prendete l’uovo per esempio. Forse non vi rendete conto che un uovo è per il 74 per cento circa acqua. Una bistecca ha un contenuto d’acqua del 73 per cento circa, e un’anguria niente meno che del 92 per cento. Ma anche così, per la maggior parte di noi sarebbe utile bere più acqua.
Scrivendo sul Weekend Australian, Michael Boddy cita l’esperienza di alcuni scalatori a sostegno dell’affermazione che l’eccessiva stanchezza può essere provocata da un accumulo di rifiuti velenosi nelle cellule del corpo, e dice: “Gli alpinisti svizzeri non riuscirono a conquistare l’Everest per mancanza d’acqua, e l’acqua è la ragione per cui la spedizione inglese diretta da sir Edmund Hillary ebbe successo: durante la scalata furono costretti a berne dodici bicchieri al giorno”.
Lo stesso scrittore parla di un esperimento compiuto presso l’Università di Harvard che pure sottolinea l’importanza di bere acqua. Alcuni atleti dovevano camminare di buon passo alla velocità di cinque chilometri all’ora senza bere affatto acqua. Essi continuarono per circa tre ore e mezzo. Poi d’un tratto la loro temperatura salì a circa 39°C. Poco dopo crollarono esausti.
Un secondo gruppo fece la stessa cosa, ma a questi fu consentito di bere acqua ogni volta che avevano sete e quanta ne volevano. Questo gruppo resistette per circa sei ore e poi ebbe esattamente la stessa reazione del gruppo precedente.
Infine si mise alla prova un terzo gruppo. Questi però furono tenuti costantemente sotto osservazione, e si scoprì che perdevano circa un bicchiere d’acqua ogni 15 minuti. Sostituendo questa quantità d’acqua man mano che veniva eliminata, nessuno del gruppo ebbe un improvviso rialzo di temperatura, né crollò per la stanchezza. Anzi sostennero tutti che avrebbero potuto camminare all’infinito. Sembra dunque che la sete naturale non sia un accurato barometro della necessità d’acqua del nostro corpo. Potremmo doverne bere più di quanto suggerisca la sete.
Forse tutti potremmo star meglio bevendo più acqua fresca e ristoratrice.


Perchè è difficile vedere le stelle?

Chi non ha ammirato il cielo notturno e non si è meravigliato davanti alla scintillante bellezza delle innumerevoli stelle che si perdono nello spazio sconfinato? Questo eccezionale spettacolo, però, si va lentamente sottraendo alla nostra vista. La causa? L’inquinamento luminoso.

L’inquinamento luminoso è l’intenso, accecante bagliore prodotto dall’illuminazione artificiale di strade, case, edifici commerciali, edifici pubblici e impianti sportivi. Ben metà di questa luce si diffonde nel cielo, impedendoci di vedere la maggior parte delle stelle. Quanto è grave il problema? Nell’Europa settentrionale, ad esempio, in una notte buia e limpida si possono vedere a occhio nudo circa 2.000 stelle. Ma la cifra scende a 200 per chi vive nella periferia di un piccolo paese, e nel centro di una città ben illuminata si riescono a vedere appena 20 stelle. Alcuni astronomi temono che, se non si prendono precauzioni, tra 25 anni nell’Europa settentrionale non si riuscirà a vedere neppure una stella.
Naturalmente una certa illuminazione è indispensabile. Scoraggia la criminalità e accresce il senso di sicurezza delle persone nelle loro case. Un’illuminazione troppo forte, però, causa stress e disturba l’andamento del sonno. A risentirne non sono soltanto le persone. Uccelli migratori e insetti possono essere disorientati dalla luce, e il ritmo circadiano delle piante può essere sconvolto.

Ma cosa si può fare per ridurre il problema? È utile assicurarsi che l’illuminazione esterna sia ben schermata e che il fascio luminoso sia orientato verso il basso. Le luci di emergenza possono essere attivate da un sensore anziché rimanere sempre accese. In un sobborgo francese il problema è stato affrontato adottando lampade a vapori di sodio ad alta pressione che forniscono un’illuminazione diretta più precisa, e schermando le lampade a bassa pressione già esistenti, dirigendone il fascio luminoso verso il basso. Le strade sono state ricoperte di catrame nero che assorbe la luce e dopo le 23 le luci degli edifici pubblici vengono spente. Non solo questo ha praticamente eliminato l’inquinamento luminoso verticale e ridotto la luce riflessa di due terzi ma ha fatto aumentare il rendimento energetico del 30 per cento.

Saper scegliere delle scarpe comode

Quando è stata l’ultima volta che avete acquistato un paio di scarpe? Vi andavano bene? Erano comode? Quanto ci avete messo a sceglierle? Il negoziante o il commesso era servizievole? Le avete comprate non perché erano comode ma perché vi piacevano? Come ve le sentite ora che le portate da un po’ di tempo? Vi fanno male in qualche punto?
Acquistare le scarpe non è così semplice come sembra. E trovare la misura esatta è quasi come avventurarsi in un labirinto. Perché?


Innanzi tutto, quale piede è più grande? Il destro o il sinistro? Pensate che siano uguali? Ne siete proprio sicuri? Un altro fattore di cui tener conto è che per ciascun piede ci sono in realtà quattro tipi di misura: statica, sotto carico, funzionale e termica. Quali sono le differenze?
Riguardo alla misura in condizione statica, un libro sull’argomento dice: “È la misura della scarpa col piede a riposo (il cliente è seduto)”. (Professional Shoe Fitting) Come indica l’espressione, la misura “sotto carico” si riferisce a quando la persona è in piedi. In questa posizione le dimensioni e la forma del piede si modificano. Il libro in questione dice: “Il piede a riposo è essenzialmente una massa molle di ossa e cartilagine che improvvisamente assume consistenza ‘solida’ allorché ci si alza, diventando così di misura diversa”. Ma ci sono altre due misure.
La misura funzionale è quella in condizioni dinamiche: mentre la persona cammina, corre, salta o compie altri movimenti. Questo “crea un piede le cui dimensioni, forma e proporzioni cambiano di continuo”. Il quarto tipo di misura è quella termica, che tiene conto delle modificazioni prodotte dal calore e dall’umidità, che possono far ingrossare il piede anche del 5 per cento. Non sorprende che si provi sollievo a levarsi le scarpe alla fine della giornata, specialmente se non sono della misura giusta! E spesso è proprio così.

Come si dovrebbe misurare il piede?
In alcuni paesi si usa comunemente un apparecchio detto Brannock (vedi foto), col quale si possono ottenere tre misure basilari: la lunghezza del piede, la distanza fra il tallone e l’articolazione metatarso-falangea, e la larghezza in corrispondenza di tale articolazione.
L'apparecchio Brannock

 Naturalmente ogni piede ha la propria forma e il proprio volume. Per questa ovvia ragione le scarpe si provano prima di comprarle. Ma c’è un pericolo. Vi è mai capitato di provare delle scarpe che vi piacevano molto, per poi scoprire che vi facevano un po’ male? “Le scarpe cedono”, dice il venditore. Voi comprate le scarpe e dopo qualche giorno o settimana che le portate cominciate a pentirvi. È la genesi del prossimo callo, di un’unghia incarnita o di un’infiammazione all’alluce!
È possibile trovare una misura perfetta? Il libro citato sopra risponde senza mezzi termini: No. Perché? “Ci sono vari ostacoli insormontabili. . . . Nessuno ha entrambi i piedi esattamente delle stesse dimensioni, forma, proporzioni o funzionalità”. Perciò se una scarpa è perfetta per il piede più grande, non lo sarà per l’altro. “Questo non significa che non si possa trovare una calzatura adatta, ma solo che bisogna usare con cautela la parola o l’idea di ‘perfezione’”.
Se volete controllare in quale punto il vostro piede esercita pressione all’interno della scarpa, esaminate alcune delle vostre vecchie scarpe. Osservate la fodera all’interno. Dov’è più consumata? Spesso l’usura sarà più evidente dove poggia il tallone, dietro il calcagno e in corrispondenza dell’articolazione metatarso-falangea. Cosa significa questo? Significa che “certe parti della scarpa non combaciano con le corrispondenti zone del piede. Certe parti si consumano eccessivamente, mentre altre sono praticamente intatte”.
La comodità dipende molto anche dalla gola della scarpa. Avete notato che ce ne sono di vari tipi? Nel modello di scarpa detto “francesina” i due lembi sono cuciti insieme nel punto più basso dell’allacciatura. Se però avete un piede pienotto, è più comodo il modello “Derby”, in cui i due lembi restano distanziati. (Vedi la figura).

Perché questo dettaglio è importante? La stessa fonte dice: “Molte o quasi tutte le irritazioni del calcagno dovute alle scarpe sono spesso la diretta conseguenza del fatto che la scarpa è troppo stretta alla gola, cosa che spinge il tallone contro il rinforzo del calcagno”, o toppone.
La preferenza delle donne per i tacchi alti sottopone il corpo a varie sollecitazioni. I tacchi alti tendono ad alterare la postura del corpo, determinando spesso un’inclinazione in avanti, la quale a sua volta costringe a curvare maggiormente il ginocchio per tenere dritto il corpo. I tacchi alti fanno anche contrarre i muscoli del polpaccio, che quindi si irrobustiscono.
Perciò il tacco è spesso la parte più critica della scarpa da donna e determina se la scarpa è comoda o scomoda. Il libro già citato dice che ci sono tre ragioni principali per cui le scarpe hanno i tacchi: ‘(1) eleganza del portamento, in quanto ad esempio rendono la persona più alta, (2) bellezza del modello o dello stile della scarpa, (3) aspetto migliore, perché i tacchi alti danno più risalto alle gambe’.
Le donne dovrebbero prestare particolare attenzione all’inclinazione del tacco, da cui dipende il punto in cui la linea del peso del corpo interseca il tacco. Se questa linea cade davanti o dietro il tacco, possono esserci problemi. Perché? Perché il tacco potrebbe cedere e la persona potrebbe fare una brutta caduta.
Da questa breve trattazione è evidente che per scegliere bene le scarpe ci vuole tempo e forse bisogna anche essere disposti a spendere qualcosa in più, perché una scarpa buona costa. Ma le scarpe possono contribuire in misura notevole al vostro benessere e anche alla vostra salute. Perciò non siate frettolosi. Trovate la misura giusta. Siate pazienti. Non fatevi ingannare dalla moda o dall’apparenza.

venerdì 6 settembre 2013

Il sarcasmo: utile o dannoso?

Le parole taglienti, a prescindere dallo scopo per cui vengono dette, possono ferire profondamente l’amor proprio di una persona. Anche quando sono pronunciate in tono scherzoso, le espressioni sarcastiche possono suscitare ostilità, ferire i sentimenti e infrangere amicizie.

Il sarcasmo non è sempre fuori luogo. Quando non è pesante, può essere divertente. E a volte il sarcasmo può esprimere profondi stati d’animo. Se però è animato da uno spirito malevolo, il dolore provocato dalle espressioni taglienti può durare a lungo dopo che la risata è finita.
Spesso una scherzosa schermaglia verbale si trasforma in un’accesa discussione.
In effetti la parola “sarcasmo” deriva da un verbo greco che significa “lacerare le carni”.
Come un cane usa i suoi incisivi aguzzi per staccare la carne dall’osso, chi si esprime con sarcasmo può strappare a un altro la sua dignità. Un periodico (Journal of Contemporary Ethnography) afferma: “Alla radice del sarcasmo . . . c’è un’aperta ostilità o il disprezzo”. Poco importa se si tratta di un attacco diretto, di un sottile commento denigratorio o di un lapsus linguae. Un’osservazione sarcastica e poco gentile fa di qualcuno una vittima della derisione.
Nel suo libro Toxic Parents, Susan Forward sottolinea cosa succede quando ad esempio i genitori usano parole che feriscono: “Ho visto migliaia di pazienti la cui stima di sé aveva subìto un duro colpo perché un genitore aveva . . . ‘scherzato’ su quanto erano stupidi o brutti o indesiderati”. Immaginate, quindi, cosa potrebbe succedere usando parole sarcastiche crudeli con un amico, un conoscente o un fratello. La dottoressa Forward conclude: “L’umorismo che mette gli altri in ridicolo può essere estremamente dannoso”.

Non sorprende quindi che un libro sullo sviluppo infantile dica: “Il sarcasmo . . . dovrebbe essere eliminato per sempre dal linguaggio umano. Di solito offende, spesso ferisce profondamente e non contribuisce quasi mai all’instaurarsi di un dialogo profittevole”.
Che fare però se parlare con sarcasmo è ormai un’abitudine radicata? Allora è tempo che impariate a pensare prima di parlare. Parlare in modo avventato può essere particolarmente dannoso tra familiari.
il libro Raising Good Children cita queste parole dell’educatore John Holt: “Troppo spesso i familiari sfogano l’uno sull’altro tutti i dispiaceri e le frustrazioni della loro vita, cosa che non oserebbero fare con nessun altro”. I familiari si conoscono così bene che tendono a essere intolleranti verso le reciproche mancanze; perdono facilmente le staffe e si scambiano osservazioni sarcastiche.
Soppesando attentamente le vostre parole, potete evitare di ferire i sentimenti altrui e potete risparmiarvi inutile vergogna e imbarazzo.

Ma che dire se l’oggetto del sarcasmo, forse degli amici o dei compagni di scuola, siete voi?
Un suggerimento è quello di evitare la tendenza a vendicarvi quando subite un torto.
Questo però non significa che non bisogna rispondere affatto quando il sarcasmo diventa un insulto o una minaccia. Irwin Kutash, in un libro (Violence) di cui è coautore, osserva: “Certi affronti, se non vengono opportunamente neutralizzati, possono avere conseguenze a lungo termine per le vittime . . . Queste vittime possono diventare facili bersagli di ulteriori abusi”.

A volte, quindi, potete essere giustificati dalle circostanze a rispondere a un attacco verbale, non travolgendo l’aggressore con un fiume di parole astiose, ma parlandogli pacificamente e serenamente in privato.

Infine, è anche utile non prendersi troppo sul serio. Donald W. Ball osserva: “L’efficacia del sarcasmo . . . sta nell’effetto che si propone di ottenere”. Sì, non fate di un piccolo incidente una tragedia pensando di aver subìto un danno irreparabile a causa di un’osservazione poco gentile. Non perdete il senso dell’umorismo!

Il modo migliore per non essere vittima del sarcasmo, comunque, è di non usarlo voi stessi.
Questo vi impedirà di parlare in maniera dannosa e sarcastica, e forse di esserne vittima.