venerdì 6 settembre 2013

Brunost, uno squisito formaggio norvegese

Il brunost, o formaggio scuro, si trova nella maggioranza delle case norvegesi e rappresenta quasi un quarto di tutto il formaggio consumato in questo paese. Ogni anno i norvegesi mangiano 12.000 tonnellate di brunost, cioè in media quasi 3 chili per persona. Nello stesso tempo circa 450 tonnellate di brunost vengono esportate in paesi come l’Australia, il Canada, la Danimarca, gli Stati Uniti e la Svezia.
Molti stranieri assaggiano per la prima volta il brunost in un albergo norvegese. Questo formaggio, rotondo o quadrangolare, si trova quasi sempre sulla tavola della prima colazione, invariabilmente insieme a un ostehøvel, il maneggevole piccolo arnese per tagliarlo a sottili fettine orizzontali.
Ma cos’è in realtà il brunost?

Il processo che porta alla lavorazione di questo appetitoso formaggio inizia con la mungitura delle capre.
Le capre vengono munte due volte al giorno, e il latte viene versato in un pentolone. Lì è riscaldato a circa 30°C e vi si aggiunge rennina, un enzima che lo fa cagliare. La cagliata bianca comincia a separarsi dal resto del latte, o siero. Gran parte del siero viene laboriosamente diviso dalla cagliata, che viene raccolta in forme di legno separate e diventerà formaggio caprino norvegese bianco. Dato che il formaggio bianco è “fresco”, deve stagionare per tre settimane circa prima di essere pronto.
Ma che dire del brunost, o formaggio scuro? Ebbene, adesso al siero puro si aggiungono latte e panna, e questo miscuglio viene portato a ebollizione. Si deve girarlo in continuazione. Via via che bolle, gran parte del liquido evapora e il siero cambia colore. Dopo tre ore circa diventa una pasta scura. La pasta viene quindi tolta dalla pentola, e bisogna continuare a mescolarla mentre si raffredda. Alla fine viene modellata e compressa nelle forme. A differenza del formaggio bianco, il brunost non ha bisogno di essere stagionato. L’indomani, appena viene tolto dalla forma, è pronto per deliziare ogni amatore del formaggio caprino norvegese scuro.
Anche se i princìpi del procedimento sono sempre gli stessi, questo antico metodo di fare il formaggio è stato da tempo sostituito dalla produzione meccanica su vasta scala. La malga ha ceduto il passo ai caseifici che usano attrezzature sotto vuoto e pentole a pressione al posto delle vecchie pentole di ferro senza coperchio.

Come ha avuto origine il brunost? Nell’estate del 1863 Anne Haav, una lattaia che viveva nella Valle di Gudbrandsdal, tentò un esperimento che ebbe grande successo. Fece il formaggio con solo latte di mucca e pensò di aggiungere della panna al siero prima di farlo condensare con la bollitura. Il risultato fu un gustoso formaggio scuro, molto grasso. In seguito si cominciò a produrlo usando anche latte di capra e un misto di latte di capra e latte di mucca. Nel 1933, quando aveva una bella età, Anne Haav ricevette dal re di Norvegia una speciale medaglia al merito per la sua invenzione.
L'ekte geitost, formaggio caprino

Oggi esistono quattro tipi principali di brunost: l’ekte geitost, vero formaggio caprino, fatto con solo latte di capra. Il gudbrandsdalsost, il più comune, che prende nome dalla valle e contiene dal 10 al 12 per cento di latte di capra e il resto latte di mucca. Il fløtemysost, un formaggio cremoso a base di siero, fatto con solo latte di mucca. Il prim, un formaggio scuro molle a base di siero, fatto con latte di mucca, ma con l’aggiunta di zucchero.

Il gudbrandsdalsost
Questo viene bollito meno degli altri tipi. Il contenuto di grasso, la consistenza e il colore — quanto chiaro o scuro deve essere il formaggio — dipendono dalla proporzione di siero, panna e latte e dal tempo di bollitura. Quello che rende il brunost così speciale è che in realtà è fatto con il siero del latte, non con la caseina. Quindi contiene molto zucchero di latte, che gli conferisce un sapore dolce, come di caramello.
Per migliaia di norvegesi il brunost non è solo una ghiottoneria, ma è parte integrante della dieta quotidiana.

Qualcosa da sapere sulle muffe

Alcune muffe salvano la vita, altre uccidono. Alcune conferiscono un sapore speciale a formaggi e vini, altre rendono il cibo velenoso. Alcune crescono sui tronchi, altre infestano bagni e libri. Le muffe sono davvero dappertutto: mentre state leggendo questa frase, delle spore potrebbero addirittura passare attraverso le vostre narici!
Le muffe appartengono al regno dei Funghi, che vanta oltre 100.000 specie fra cui ruggini, funghi superiori e lieviti. I funghi conosciuti che causano malattie a uomini e animali sono solo un centinaio. Molti altri hanno un ruolo fondamentale nella catena alimentare, decomponendo materiale organico e riciclando elementi essenziali in una forma utilizzabile dalle piante. Altri ancora operano in simbiosi con le piante, aiutandole ad assorbire sostanze nutritive dal terreno. Alcuni poi sono parassiti.
Muffa depositata su del pane

Le muffe iniziano la loro vita come spore microscopiche trasportate dall’aria. Se le spore si depositano su un ‘cibo’ adatto che abbia fra le altre cose la giusta temperatura e il giusto grado di umidità, germineranno dando origine a cellule filamentose dette ife. Quando queste formano una colonia, la massa aggrovigliata e lanuginosa di filamenti prende il nome di micelio, la muffa che vediamo. La muffa inoltre a volte assomiglia a della sporcizia o a delle macchie, come quelle che si formano fra le mattonelle del bagno.
Le muffe sono molto prolifiche. Nella muffa del pane, Rhizopus stolonifer, i puntolini neri sono gli sporangi, ovvero gli organi che contengono spore. Un solo puntolino contiene più di 50.000 spore, ciascuna delle quali è in grado di produrre centinaia di milioni di nuove spore nel giro di qualche giorno. E, nelle giuste condizioni, le muffe si sviluppano bene su un libro, su uno stivale, sulla carta da parati o su un tronco nel bosco.
Come fanno a nutrirsi? A differenza degli animali e degli esseri umani, che prima mangiano e poi assorbono gli alimenti grazie alla digestione, le muffe spesso invertono questo processo. Quando le molecole organiche sono troppo grandi o complesse perché le muffe se ne cibino, queste ultime liberano enzimi digestivi che scompongono le molecole in unità più semplici. A questo punto le muffe possono assorbirle. Inoltre dal momento che non possono muoversi per cercare il cibo, devono viverci dentro.
Le muffe possono produrre sostanze tossiche dette micotossine, che sono in grado di produrre effetti tossici negli uomini e negli animali. Si può venire a contatto con queste sostanze per inalazione, ingestione o attraverso la pelle. Ma la storia delle muffe non è solo negativa, poiché hanno alcune proprietà molto vantaggiose.
Nel 1928 Alexander Fleming osservò per caso il potere germicida di una muffa verde.
Alexander Fleming
 In seguito identificata come Penicillium notatum, questa muffa si rivelò letale per i batteri ma innocua per uomini e animali. La scoperta portò alla produzione della penicillina, definita “il ritrovato della medicina moderna che ha salvato il maggior numero di vite”. Per il loro lavoro di ricerca, nel 1945 Fleming e i suoi collaboratori, Howard Florey ed Ernst Chain, vennero insigniti del premio Nobel per la medicina. Da allora le muffe hanno fornito diverse sostanze medicinali, fra cui alcune efficaci contro i trombi, l’emicrania o il morbo di Parkinson.
Le muffe sono anche una delizia per il palato. Prendete per esempio il formaggio. Sapevate che il brie, il camembert, il danish blue, il gorgonzola, il roquefort e lo stilton devono il loro sapore caratteristico a certe specie di muffe del genere Penicillium? Anche il salame, la salsa di soia e la birra devono molto alle muffe.
La muffa Penicillium Notatum

Lo stesso vale per il vino. Quando certe varietà d’uva vengono raccolte al tempo giusto e con la giusta crescita fungina, si possono produrre squisiti vini da dessert. La Botrytis cinerea, o “marciume nobile”, favorisce la concentrazione degli zuccheri nei grappoli e conferisce al vino un sapore particolare. Nelle cantine il Cladosporium cellare dà il tocco finale durante il processo di invecchiamento. Per citare un proverbio ungherese: ‘Dove c’è buona muffa c’è buon vino’.
Anche le caratteristiche dannose di certe muffe hanno una lunga storia. Nel VI secolo a.E.V. gli assiri usavano la muffa Claviceps purpurea, o segale cornuta, per avvelenare i pozzi nemici: potremmo definirla in pratica un’antica forma di guerra batteriologica. Nel Medioevo questa stessa muffa, che a volte si forma sulla segale, provocò in molte persone crisi epilettiche, bruciori dolorosi, cancrena e allucinazioni. Questa intossicazione, ora chiamata ergotismo, fu a quel tempo soprannominata “fuoco di Sant’Antonio” perché molte vittime, sperando di essere guarite miracolosamente, fecero un pellegrinaggio al santuario di Sant’Antonio in Francia.
Una sostanza altamente cancerogena, l’aflatossina, è prodotta da muffe. Si calcola che in un paese asiatico a causa di questa tossina muoiano 20.000 persone all’anno. È stata anche usata in moderne armi biologiche.
Nella vita di ogni giorno, comunque, i sintomi provocati dal contatto con le muffe sono più un fastidio che una seria minaccia per la salute. “La maggior parte delle muffe, anche quando se ne avverte l’odore, sono innocue”, dice un bollettino universitario. (UC Berkeley Wellness Letter) Di solito a risentire degli effetti indesiderati sono coloro che hanno malattie polmonari, come l’asma, individui con allergie, sensibilità agli agenti chimici o sistema immunitario debole, e anche agricoltori che possono venire a contatto con grandi quantità di muffa. I bambini e le persone anziane possono inoltre avere una sensibilità maggiore.
Secondo il Dipartimento della Sanità della California, le muffe possono provocare i seguenti sintomi: ‘Problemi respiratori, come sibilo, difficoltà a respirare e fiato corto; congestione nasale e sinusite; irritazione agli occhi (bruciore, lacrimazione o occhi arrossati); tosse secca; irritazione nasale o della gola; eruzioni cutanee o irritazioni’.
In alcuni paesi è normale sentire di scuole che vengono chiuse o di case o uffici che devono essere sgombrati perché siano bonificati dalla muffa. All’inizio del 2002 il Museo di Arte Moderna di Stoccolma, appena inaugurato, dovette essere chiuso a causa della muffa. L’operazione di bonifica costò circa 4 milioni di euro.
Un interno del Museo di Arte Moderna di Stoccolma

 Perché di recente questo problema è diventato più comune?
La risposta implica due fattori principali: materiali da costruzione e progettazione. Negli ultimi decenni i materiali da costruzione hanno incluso prodotti che sono più soggetti all’attacco delle muffe. Un esempio è il cartongesso, costituito da uno strato di gesso tra fogli di cartone resistente. La parte centrale trattiene l’umidità. Così se questo materiale rimane umido per lunghi periodi, le spore della muffa possono germinare e crescere, nutrendosi del cartone.
Anche la progettazione degli edifici è cambiata. Prima degli anni ’70, negli Stati Uniti e in diversi altri paesi gli edifici erano isolati meno di quelli progettati in seguito. I cambiamenti sono stati fatti per ridurre il consumo energetico negli edifici minimizzando le perdite e l’assorbimento di calore e riducendo gli spifferi. Ma ora quando l’acqua si infiltra tende a rimanere più a lungo, favorendo la formazione della muffa. C’è una soluzione?
Il modo più efficace per risolvere, o almeno minimizzare, il problema della muffa è quello di tenere tutto pulito e asciutto dentro casa e far sì che ci sia poca umidità. Se in qualche punto si accumula acqua, asciugate subito la zona e fate i necessari cambiamenti e le riparazioni perché l’acqua non ristagni di nuovo. Per esempio mantenete le grondaie e il tetto puliti e in buone condizioni. Assicuratevi anche che la pendenza del terreno sia tale da non far ristagnare l’acqua intorno alle fondamenta. Se avete l’aria condizionata tenete pulite le vaschette in cui si raccoglie l’acqua e accertatevi che i tubi di scarico della condensa non siano ostruiti.
Una fonte autorevole dice: “Il segreto per tenere sotto controllo la muffa è tenere sotto controllo l’umidità”. Alcune semplici precauzioni possono evitare a voi e alla vostra famiglia di dover fare i conti con la muffa. In un certo senso la muffa assomiglia al fuoco: può danneggiare gravemente, ma può anche essere estremamente utile. Molto dipende dall’uso che ne facciamo e da come la controlliamo.

La gazza è davvero una ladra?

Quando, nel 1817, il compositore italiano Gioacchino Rossini scrisse l’opera La gazza ladra, di certo credeva che le gazze fossero cleptomani. E anche altri hanno la stessa idea di questo uccello estroverso. “Bricconcelle e seccatrici, le gazze sono tra i giocosi fuorilegge del West”, dice un libro sugli uccelli nordamericani. (Book of the North American Birds) Queste gazze dal becco nero, pur essendo note altrove, furono viste per la prima volta negli Stati Uniti durante la famosa spedizione di Lewis e Clark del 1804-06 che aprì le porte del West. Alcuni membri della spedizione dissero che le gazze entravano nelle loro tende e rubavano il cibo.
Se vivete in Europa, Asia, Australia o America Settentrionale, potreste imparare a riconoscere le gazze locali. Si tratta in genere di uccelli grandi, lunghi anche 50 centimetri e più, con un disegno bianco e nero ben marcato sulle ali e sul corpo. La coda è lunga, con riflessi verdi, e il becco robusto. Le gazze spesso vivono in gruppi e difendono con coraggio il loro territorio, anche dagli uomini.
Le gazze della Gran Bretagna a prima vista potrebbero sembrare semplicemente nere con l’addome e le remiganti bianche, ma hanno dei bei colori brillanti anche se non molto evidenti. Il corpo e le lunghe penne della coda hanno riflessi verdi e violetti, mentre in cima alla coda ci sono anche riflessi bronzei. La coda è pari a oltre metà della lunghezza dell’uccello.
Le gazze dal dorso nero, diffuse in Australia, sono apprezzate per i gorgheggi e i richiami melodici e gioiosi. Se sentite i richiami delle gazze e del kookaburra, è segno sicuro che siete in Australia. Oltre che dal suo canto caratteristico, la gazza dal dorso nero si riconosce dalle chiazze bianche sul dorso lucido, sulla base della coda, sulle ali e sotto la coda.
Allora, la gazza è davvero una ladra? Un libro afferma: “Negli Stati Uniti occidentali la gazza è stata a lungo disprezzata in quanto ladra e saprofaga”. (Song and Garden Birds of North America) Quest’ultima, pungente osservazione, però, in realtà fa onore a questo uccello. Perché? Perché gli animali saprofagi eliminano le carogne di altri animali e uccelli. Che la si apprezzi o no, la gazza è un’altra delle 9.300 specie di uccelli che arricchiscono e abbelliscono la terra.

Incomunicabilità tra uomini e donne?

I linguisti ritengono che spesso i problemi che si incontrano nel comunicare tra marito e moglie dipendono dalle differenze tra uomini e donne. Libri come You Just Don’t Understand (Non capisci proprio) e Men Are From Mars, Women Are From Venus (Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere) sostengono che uomini e donne, pur parlando la stessa lingua, comunicano in modi profondamente diversi.
Le donne sono generalmente note per la loro sensibilità, eppure molti uomini danno prova di una delicatezza straordinaria nel modo in cui trattano gli altri. La razionalità viene in genere attribuita maggiormente agli uomini, eppure spesso le donne sono dotate di una logica ferrea. Perciò, anche se non si può parlare di qualità esclusivamente maschili o puramente femminili, una cosa è certa: Capire il modo in cui un’altra persona vede le cose può fare la differenza tra una pacifica coesistenza e la guerra aperta, specialmente nel matrimonio.
La sfida quotidiana di comunicare tra marito e moglie è formidabile. Molti mariti perspicaci possono confermare che la domanda: “Ti piace la mia nuova acconciatura?”, che trae in inganno per la sua apparente semplicità, può essere invece irta di pericoli. Molte mogli accorte imparano a trattenersi dal chiedere in continuazione: “Perché non ti fermi e non chiedi indicazioni?” quando sono in viaggio e il marito non trova la strada. Anziché disprezzare le apparenti stranezze del coniuge e ostinarsi a conservare le proprie, giustificandosi con un “Io sono fatto (o fatta) così”, il marito e la moglie che si vogliono bene guardano oltre le apparenze. Questo non significa scrutare freddamente il modo di comunicare dell’altro, ma cercare di capire ciò che l’altro ha nel cuore e nella mente.

Come ogni persona è diversa da tutte le altre, così lo è ogni matrimonio, che è l’unione di due individui.

Ad esempio, è molto facile dare per scontato che gli altri vedano le cose come le vediamo noi. Spesso soddisfiamo i bisogni degli altri come vorremmo che fossero soddisfatti i nostri, forse cercando di seguire un antica regola di grande saggezza: :“Tutte le cose dunque che volete che gli uomini vi facciano, anche voi dovete similmente farle loro”.
Questo però non significa che quello che volete voi dovrebbe andar bene anche agli altri. Piuttosto, voi desiderate che gli altri vi diano quello che voi volete, o di cui voi avete bisogno. Perciò dovete dare agli altri quello di cui loro hanno bisogno. Questo è particolarmente essenziale nel matrimonio, in quanto ciascun coniuge si è solennemente impegnato a soddisfare nella maggior misura possibile i bisogni dell’altro.

La banana, un frutto da apprezzare

I GRECI e gli arabi lo  definirono “un albero da frutto straordinario”. Nel 327 a.c.  fu scoperto in India dagli eserciti di Alessandro Magno. Secondo una vecchia leggenda, i saggi dell’India riposavano alla sua ombra e mangiavano del suo frutto. Per questo è stato chiamato “il frutto dei saggi”. Che cos’è? Ma come, la banana!

Ad ogni modo, come ha fatto la banana ad andare dall’Asia alle Antille? Ebbene, antichi mercanti arabi portarono le radici della pianta di banano dall’Asia alla costa orientale dell’Africa. Nel 1482 esploratori portoghesi scoprirono la pianta di banano che vi cresceva e fecero pervenire alcune radici e il suo nome africano, banana, alle colonie portoghesi delle Canarie. Il passo successivo per arrivare nel Nuovo Mondo fu la traversata dell’Atlantico. Ciò avvenne nel 1516, alcuni anni dopo i viaggi di Colombo. Missionari spagnoli portarono piante di banano nelle Antille e nei paesi affacciati al Mar Caribico. Così questa straordinaria pianta da frutto dovette fare il giro di mezzo mondo per raggiungere l’America Centrale e Meridionale.
Si dice che nel 1690 la banana venne portata per la prima volta dalle Antille nella Nuova Inghilterra. I puritani bollirono lo strano frutto che però non risultò gradito. Comunque nei paesi dell’America Meridionale e Centrale, come pure in altri paesi tropicali, milioni di persone fanno bollire certe banane verdi e le mangiano con gusto.
Il banano non è un albero. Non ha fibre legnose. È invece una gigantesca pianta erbacea che somiglia a una palma. Clima e suolo determinano la crescita e le dimensioni della pianta. Le banane crescono meglio nei climi caldi e umidi e prosperano nei terreni permeabili ricchi, sabbiosi e argillosi. Per avere le migliori condizioni di crescita la temperatura non dovrebbe mai scendere al di sotto dei 20°C.
Una pianta di banano
Per iniziare una coltivazione si devono piantare i cosiddetti polloni, che si ottengono dal fusto sotterraneo delle piante adulte. Si scavano buche profonde 30 centimetri e distanti 5 metri le une dalle altre. Nel giro di tre o quattro settimane appaiono i germogli verdi e spuntano foglie verdi strettamente avvolte che si srotolano man mano che crescono. Le piante di banano crescono molto rapidamente, circa 3 centimetri al giorno. Dopo dieci mesi la pianta è matura e somiglia a una palma; può essere alta da 3 a 6 metri.
Nella pianta adulta, dalle foglie avvolte in un fascio spunta una grossa gemma con piccole brattee purpuree. Poi compaiono gruppi di piccoli fiori. Una pianta produce solo un casco, che pesa da 30 a 50 chili e ha da 9 a 16 gruppi di banane; ciascun gruppo, detto mano, contiene da 10 a 20 banane. Così le banane si potrebbero chiamare dita.
Le banane crescono prima in giù, verso terra, poi all’infuori e in su, formando la ben nota curva della banana. Come vengono nutrite e protette durante la crescita? Al momento giusto la gemma viene staccata affinché le banane possano ricevere tutta l’energia della pianta. Quindi l’infruttescenza viene coperta con un sacco di polietilene per tenere lontani gli insetti. Poiché le banane crescono verso l’alto e diventano molto pesanti, la pianta è legata alla base delle piante vicine per impedire che il vento o il peso dei frutti la facciano rovesciare. Infine si fissa alla copertura un nastro colorato per indicare quando il frutto sarà pronto per la raccolta.
Ogni giorno la piantagione è sorvolata da aerei che irrorano le foglie delle piante. Ciò serve a proteggerle da tre principali malattie. Una è la malattia di Panama: un fungo che distrugge alcune piante. Ma queste sono sostituite da tipi resistenti alla malattia. Un’altra è una malattia detta moko, causata da batteri. Si combatte eliminando le piante colpite e i fiori che attirano certi insetti responsabili della malattia. C’è quindi la malattia di Sigatoka, che distrugge le foglie delle piante ma non danneggia le banane se si usano abbastanza presto spray chimici. Le banane abbisognano di moltissima acqua, che viene provveduta mediante irrigazione, compresi sistemi a pioggia. Si può aggiungere che la piantagione va tenuta sgombra da erbe ed erbacce.
Quando il colore del nastro indica che le banane sono pronte per la raccolta, prima vengono misurate per accertarsi che siano della grandezza giusta. Un altro particolare degno di nota è che le banane non sono mai lasciate a maturare sulla pianta, neppure quelle destinate al consumo locale. Perché? Perché perderebbero il sapore. Prima di decidere quando effettuare la raccolta, bisogna considerare a che distanza dovranno essere trasportate e che tipo di trasporto sarà utilizzato. Dopo di che si tagliano i caschi con il machete e si inviano all’apposito stabilimento. E che ne è della pianta di banano dopo la raccolta? Viene abbattuta per fertilizzare le nuove piante che cresceranno al suo posto.
Allo stabilimento le banane vengono lavate e quelle ammaccate sono messe da parte per essere consumate dagli operai e dalle loro famiglie. Le banane piccole saranno usate per farne estratto e alimenti per bambini. Le banane migliori vengono impacchettate, 18 chili per scatola, e inviate all’estero su navi e treni refrigerati.
Nel porto viene controllata la qualità del prodotto e ne viene misurata la temperatura. Dopo essere state raccolte, le banane devono rimanere verdi finché non arrivano sul mercato, e dato che sono deperibili, devono essere raccolte, spedite e vendute nei negozi nel giro di 10-20 giorni. Vengono tenute al fresco alla temperatura di 12-13°C per impedire che maturino. Con i moderni mezzi di trasporto le banane possono essere inviate dall’America Centrale e Meridionale perfino in Canada e in Europa senza alcun problema.
Esistono cento o più varietà di banane. La “dwarf Cavendish” è il tipo comune, esportato soprattutto in Europa, Canada e Stati Uniti. Nell’Honduras abbondano varietà più piccole, che hanno la buccia troppo sottile per poterle esportare. Sono note con il nome di manzana (mela) e Red Jamaica.
Le foglie di banano contengono utili fibre e trovano vari impieghi nei paesi tropicali. Andando in un mercato all’aperto si vedono spesso le foglie ammucchiate per la strada: vengono vendute per avvolgere i tamales caldi, un piatto molto popolare in vari paesi.
A molti nell’Honduras piace mangiare come contorno la varietà di banana detta “plantain”. Un piatto squisito che si prepara sulla costa settentrionale dell’Honduras è detto machuca. Per prepararlo si pesta nel mortaio questa varietà di banana non matura, si aggiungono spezie e il miscuglio viene cotto insieme a granchi nell’olio di cocco.
Negli Stati Uniti si consumano annualmente circa 11 miliardi di banane. Ne viene inviata una gran quantità in Canada e Gran Bretagna e in altri paesi d’Europa. Qual è il valore nutritivo di questo frutto? Le banane sono ricche di vitamina A e C, carboidrati, fosforo e potassio.
La banana trova moltissimi impieghi. È l’ideale per spuntini, insieme a cereali, in macedonie di frutta, crostate, torte e, naturalmente, per la famosa banana split. Ma la prossima volta che mangiate una banana matura, pensate alle sue eccezionali qualità. Questo frutto ha la propria confezione. È ricco di vitamine e minerali. E potrebbe aver fatto il giro di mezzo mondo per arrivare sulla vostra tavola.
La tanto amata Banana Split

Il prezioso dono dell'umorismo

Si dice che l’umorismo sia la capacità di vedere il lato comico o divertente delle cose. Si dice pure che sia quella qualità che fa leva sul senso del ridicolo o dell’assurdo.
Si verifica una situazione umoristica quando qualcosa è fuori luogo o non appropriato. Per esempio, un serio uomo d’affari londinese, con tanto di ombrello chiuso e giornale, che sguazza nell’acqua del mare, sarebbe una cosa assurda, strana, e farebbe sorridere i presenti. Per citare un altro esempio, se un cane o un gatto entrasse in un’aula scolastica, susciterebbe molte risate, perché di solito un tale animale è fuori posto in un’aula.
Questo tipo di umorismo si basa sugli imprevisti. Per esempio, se un uomo si togliesse il cappello davanti a una donna e ne volasse fuori un piccione, gli osservatori riderebbero di tale cosa inaspettata. Una notizia dalla Nigeria dice che quando accade qualcosa di inaspettato gli africani reagiscono con grande spontaneità. Così di solito ridono quando un uomo scivola su una buccia di banana. Ma corrono anche immediatamente in suo aiuto pieni di comprensione e preoccupazione.
Il più delle volte l’umorismo si esprime a parole. E l’umorismo basato sulle parole è piuttosto vario, secondo nazionalità, usanze, ambiente e altri fattori. C’è l’umorismo intellettuale o sottile, c’è quello grossolano, o più rude e chiassoso, e quello più arguto o tagliente, che si può anche chiamare “spirito”.
Inoltre, ciò che è divertente per le persone di una nazione può non avere senso per quelle di un’altra nazione.
Sebbene le varie forme di umorismo verbale non si limitino a un particolare paese o nazionalità, molti sono più o meno noti per certi tipi di umorismo. Ad alcuni, come agli americani, piace l’iperbole, un’esagerazione intenzionale per dare enfasi o per produrre un effetto umoristico. “Piove a catinelle”, ne è un esempio. Inoltre: “Muoio dal ridere”. “Ho provato mille volte”. Frasi simili, naturalmente, non sono letterali e l’ascoltatore di solito lo capisce.
Famoso è l’humour inglese, cioè dire qualcosa di divertente con aria di noncuranza e con la faccia seria. Agli inglesi piace anche minimizzare. A questo riguardo, il libro Humour in Memoriam di George Mikes dice: “Quello di minimizzare non è semplicemente un sistema per fare battute; in Inghilterra è un modo di vivere. Anche ad altri piace sminuire e gli inglesi non ne hanno l’esclusiva. Nel New Yorker c’era una vignetta con due uomini sul trapezio volante e uno aveva appena mancato la mano dell’altro, a trenta metri d’altezza. L’uomo che aveva fatto l’errore per distrazione diceva: ‘Ooop, spiacente’. Un modo di minimizzare tipico degli americani. Ma in altri paesi questo si fa con noncuranza; in Inghilterra, fa parte del temperamento nazionale; è nell’aria. Il più delle volte non è neppure inteso come battuta”.
Per citare un esempio di ciò, George Mikes narra quanto segue: Dice che un vapore stava attraversando il canale della Manica. “Sul ponte c’eravamo soltanto io e un altro e imperversava una violenta tempesta. Un vento tremendo sollevava onde gigantesche. Rimanemmo lì rannicchiati per un po’ senza dire una parola. All’improvviso una raffica spaventosa spinse l’altro uomo in mare. La sua testa emerse solo una volta dalle acque sottostanti. Mi guardò con calma e osservò con una certa indifferenza: ‘Tira un po’ di vento, vero?’”
L’umorismo irlandese ha un suo fascino. Stephen Leacock ne fa un esempio nel suo libro Humour: “È stato appena dato l’ordine di non attaccare l’ultima carrozza ai treni, perché è sempre soggetta a sgradevoli scosse e oscillazioni’”. Inoltre: “Non scendere dalla scala, Pat, perché l’ho tolta”.
Lo stesso scrittore cita il seguente esempio di umorismo scozzese, che, secondo l’opinione generale, è piuttosto macabro: “La moglie di uno scozzese si ammalò e, apparentemente, morì. Al funerale, mentre la bara veniva portata in chiesa, i portatori urtarono accidentalmente contro uno stipite della porta. La scossa fece tornare in vita la donna. Fu tirata fuori dalla bara e visse per molti anni. Poi si ammalò e, questa volta, morì per davvero. Al funerale, mentre la bara si avvicinava alle porte della chiesa, il marito della defunta disse ai portatori: ‘Piano, ragazzi, piano; non fatela sbattere’”.
L’umorismo spagnolo è spesso un indice della tendenza a sottovalutarsi. Nella rivista El Triunfo c’era una vignetta con due uomini impegnati in una conversazione. Uno dice: “Ora è di moda la cultura. Abbiamo il ministero dell’Istruzione . . . il ministero della Cultura . . . e un consigliere del Presidente per la cultura”. L’altro risponde: “Ottimo! Adesso abbiamo bisogno solo delle scuole”. Ridere delle proprie debolezze è un aspetto importante dell’umorismo.
Battute e barzellette pulite e sane sono ottime al tempo e nel luogo appropriati e fanno divertire, e tutti a volte abbiamo bisogno di rilassarci. L'umorismo va comunque usato con moderazione e buon gusto. In tal caso, può aggiungere un tocco di brio e di vivacità alla vita quotidiana.


Più sangue, più intelligenza!

Si ragiona meglio con un battito cardiaco più veloce, afferma John Cacioppe, dell’Università di Notre Dame nell’Ohio. Egli ha fatto esperimenti su persone che hanno il pacemaker. Il pacemaker era regolato su un battito cardiaco di 72 pulsazioni al minuto. Egli ha portato il battito cardiaco a 88 pulsazioni mettendo una piccola calamita sopra il pacemaker. Non c’era pericolo e i soggetti non si accorgevano neppure dell’aumentato ritmo cardiaco.
Prima Cacioppe ha fatto leggere a 14 soggetti un brano per vedere se lo comprendevano e se erano poi in grado di rispondere a domande su di esso. In un secondo esperimento ha fatto comporre loro molte brevi e semplici frasi, più che potevano in 90 secondi. In entrambi gli esperimenti ha riscontrato che accelerando il battito cardiaco di questi soggetti il loro rendimento migliorava. Nel primo esperimento, ad esempio, il loro punteggio è salito dal 39 per cento al 49 per cento.
Un altro esperimento — questa volta sono stati usati brani controversi in cui dovevano dire se erano d’accordo o no — ha rivelato la stessa cosa: aumentando il ritmo cardiaco aumentava il numero e migliorava la qualità degli argomenti presentati.